I soci sono prigionieri della società?

Spesso la società è una prigione. ..

Quali che siano le motivazioni della scelta (pensionamento, volontà di disinvestimento, conflitto con gli altri soci) cedere la partecipazione una piccola società non è facile.

I soci delle piccole società italiane spesso non si rendono conto di essere prigionieri della “loro” società, ossia di avere scarse o nulle possibilità di cedere la propria partecipazione sociale (questo è uno dei tanti esempi della diffusa mancanza della c.d. legal awareness nel mondo delle imprese).

Da una prigione non si può uscire perché ci sono sbarre, cancelli e mura con guardie armate.

In una società non c’è nulla di tutto questo, ma ci sono comunque solidi ostacoli all’uscita dei soci.

Come si esce da una società?

Il problema dei soci è il disinvestimento.

Chi è socio di una società deve conoscere bene gli strumenti per uscirne e liquidare la propria partecipazione.

Uscire da una società quotata o da una non quotata con mercato “liquido” delle partecipazioni (sono poche…) è abbastanza semplice: basta cedere la partecipazione, con il solo rischio legato all’andamento dei prezzi di mercato.

Uscire da una società non quotata o comunque da una società PMI senza mercato delle partecipazioni è piuttosto complesso.

Conviene quindi conoscere bene gli strumenti offerti dalla legge per l’uscita da una società.

Appalto: come spendere di meno.

Il contenzioso sugli appalti è vastissimo

Il contenzioso in materia di appalti è enorme.
Spesso sembra che durante o alla fine dei lavori la parte committente e quella appaltatrice si rendano conto di avere avuto obiettivi diversi e previsioni opposte sui tempi, sui costi e talvolta addirittura sulle caratteristiche di quanto oggetto del contratto.
Spesso questo conflitto deriva da inesattezze o errori progettuali: un progetto impreciso o incompleto non ha un’interpretazione univoca.
Più spesso il conflitto deriva dalla mancata considerazione delle regole legali sull’appalto e dei loro effetti.

 

Società: ribellarsi (per la minoranza) è giusto!

Chi fa parte di una società è abituato a pensare che … la maggioranza ha sempre ragione e quindi non si interroga sula possibilità di contrastare gli atti di mala fede dei soci di maggioranza

In realtà, esaminando bene le decisioni dei Tribunali e della Cassazione si trova un principio molto importante: in sede di assemblea la maggioranza non può fare quello che vuole, ossia non può … abusare del suo potere a danno dei soci di minoranza approvando deliberazioni contrarie al principio di buona fede (che deve essere rispettato eseguendo qualsiasi contratto secondo le prescrizioni degli articoli 1175 e 1375 del codice civile).

Vi sono molti casi in cui una decisione presa dai soci di maggioranza in assemblea di per sé non è dannosa né vantaggiosa per la società, ma è solo … dannosa per i soci di minoranza, contro i quali è stata adottata in mala fede.

In tutti questi casi la decisione è invalida e piò essere impugnata dai soci di minoranza, per i quali i Giudici hanno aperto, nel tempo, un importante spazio di tutela (a partire dalla notissima decisione della Cassazione n. 11151 del 26 ottobre 1995).

Secondo i Giudici, infatti, vi sono delle deliberazioni che si possono definire “abusive” perché contrarie al principio di buona fede in quanto destinate unicamente a danneggiare i soci di minoranza e queste decisioni possono essere dichiarate invalide.

Corte di Cassazione n. 11151 del 26 ottobre 1995

Non può quindi dubitarsi dell’illegittimità di una delibera assembleare che, per quanto formalmente regolare, risulti in concreto preordinata ad avvantaggiare alcuni soci in danno di altri

Purtroppo in proposito non c’è una regola legale definita (ossia una norma di legge chiara e precisa) ma occorre rifarsi ai cosiddetti “precedenti” della giurisprudenza (si veda il glossario per il concetto di “giurisprudenza”).

Esaminando questi precedenti si trovano diversi casi in cui una decisione assembleare è stata considerata “abusiva” e quindi invalida.

Vale la pena di tenere presenti questi casi e di valutare se sono applicabili alla situazione che ci interessa.

 

L’aumento del capitale per danneggiare la minoranza

Un tipico caso di abuso è l’approvazione di un aumento di capitale che non serve alla società, finalizzato solo a “diluire” la partecipazione dei soci di minoranza fino a renderla influente o comunque a danneggiare tali soci.

Il Tribunale di Cagliari lo ha affrontato nel 2009 in relazione a una società in cui c’era insanabile contrasto tra maggioranza e minoranza.

Il socio di maggioranza aveva approvato un abnorme aumento di capitale per finanziarie un’iniziativa impossibile per difetto delle necessarie autorizzazioni e la delibera è stata considerata invalida per violazione del principio di buona fede.

 

Trib. Cagliari 9 giugno 2009

Sussiste il fumus del vizio di eccesso di potere della deliberazione e, conseguentemente, gli estremi per la sospensione dell’esecuzione della delibera per gravi motivi, nel caso in cui, in presenza di un irriducibile contrasto fra i soci, l’iniziativa economica dichiaratamente sottesa all’operazione di aumento sia pretestuosa in quanto caratterizzata da un oggetto indefinito nonché da un esito incerto al di là di ogni ragionevolezza e comporti, per i soci, un costo non necessario.

 

Lo scioglimento anticipato “abusivo

Il codice civile consente ai soci di qualsiasi società di deliberarne lo scioglimento a maggioranza in qualsiasi momento.

La maggioranza, però, non può abusare del proprio potere ponendo in essere un’operazione abusiva.

È stata per esempio considerata invalida la deliberazione di scioglimento anticipata seguita dalla costituzione di una nuova società con oggetto identico alla quale avevano aderito tutti i soci, meno uno, quello di minoranza.

Lodo Arbitrale Catania 27 maggio 2009

La delibera di scioglimento anticipato di una società … può essere invalidata sotto il profilo dell’abuso della regola di maggioranza quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci. La prova dell’abuso della regola di maggioranza incombe sul socio di minoranza il quale dovrà a tal fine indicare i «sintomi» di illiceità della delibera deducibili non solo da elementi di fatto esistenti al momento della sua approvazione ma anche da circostanze verificatesi successivamente.

 

Nello stesso senso la Cassazione con la decisione n. 11151 del 1995 ha affermato l’invalidità di una delibera di scioglimento anticipato non giustificata poiché l’andamento della gestione era largamente in attivo, a approvata con il voto determinante di soci che erano, al tempo stesso, soci di una società concorrente.

 

L’approvazione di compensi esorbitanti per gli amministratori

 

I compensi degli amministratori sono soggetti a ordinarie regole di blea che decidano il pagamento agli amministratori di compensi eccessivi rispetto all’attività svolta.

 

La deliberazione “disinformata”.

Altra ipotesi di abuso è quella della deliberazione di assemblea proposta ai soci di minoranza sulla base di informazioni incomplete, errate o reticenti date loro dai soci di maggioranza.

Anche in questo caso la deliberazione può considerarsi invalida.

Cassazione 12 dicembre 2005, n. n. 27387

La doglianza che la maggioranza dei soci non abbia consentito alla minoranza ampia informazione e discussione su un argomento all’ordine del giorno attiene a disciplina etica e di merito e non a questione … sindacabile del giudice … a meno che non si deduca e dimostri che proprio l’indicato comportamento prevaricatore, frutto di un disegno della maggioranza di realizzare propri interessi particolari in contrasto non con quelli oggettivamente sociali, abbia determinato in concreto scelte contrastanti con gli interessi della società

 

Ma come si reagisce all’abuso della maggioranza? Come si ci ribella?

 

Ribellarsi sarà anche giusto, ma come sempre nel campo della giustizia civile, non esiste alcun organo pubblico al quale appellarsi per far rispettare la legge (non si può, per usare una parola comune “denunciare” la maggioranza alla Procura della Repubblica o a un Organo simile).

Di fronte agli abusi della maggioranza occorre promuovereuna causa presso in Tribunale (o presso un arbitro o un collegio arbitrale se questo è previsto dallo statuto sociale).

Il problema è che questa causa può essere piuttosto lunga e magari anche costosa.

Per evitare queste difficoltà occorre sempre, anche quando non è in vista alcuna lite, insistere per ottenere dagli altri soci l’inserimento nello statuto della società di regole per la risoluzione semplice e veloce delle liti (per esempio attraverso un procedimento di mediazione) oppure insistere in Tribunale, se proprio non si è potuta evitare una lite, perché gli effetti della delibera “abusiva” siano sospesi.

 

 

Come proteggere il proprio investimento con un patto parasociale.

Continua la guida alle società.

Un buono strumento per la protezione dei propri interessi in una società è il “patto parasociale”.

Il patto parasociale è un accordo relativo al funzionamento di una società e dei suoi Organi che si colloca in posizione parallela rispetto al contratto di società vero proprio e allo statuto che regola il funzionamento della società.

In pratica questo accordo è un’integrazione delle regole societarie

Il patto parasociale può essere sottoscritto da tutti i soci, da alcuni di loro, da chi vuole diventare socio, dagli amministratori e in generale da tutti coloro che sono direttamente interessati alla vita di una società.

L’efficacia del patto parasociale

Il patto parasociale vincola, per definizione, esclusivamente coloro che lo hanno sottoscritto e non anche la società che è, rispetto al patto stesso, un soggetto estraneo.

La società RCS è nota per essere “governata” da un patto parasociale.

I patti parasociali non sono dunque opponibili alla società, salvo che la stessa non vi partecipi con regolare ed espressa volontà e non riconosca ed assuma i relativi obblighi con atto degli organi competenti e nelle forme di legge (cosa che di fatto accade molto di rado).

Dalla distinzione fra “sociale” e “parasociale” deriva che il socio vincolato da un patto può teoricamente, nel contesto delle attività societarie (per esempio votando in assemblea) violare il patto.

Per tale ragione normalmente tali accordi sono arricchiti da clausole penali finalizzate e prevenire facili “fughe” dagli impegni presi.

Qualche esempio di patto parasociale.

Qui qualche esempio tratto dalla pratica dei patti parasociali più frequenti.

Un buon accordo parasociale migliora i risultati dell’investimento
  1. Patto parasociale relativo al voto in assemblea con il quale una parte dei soci si coalizza per votare in maniera coordinata e quindi raggiungere una maggioranza altrimenti impossibile (la coalizione può essere permanente o occasionale, per esempio relativa alla sola assemblea per la nomina degli amministratori).
  2. Patto parasociale relativo all’amministrazione, con il quale un gruppo di soci e amministratori identificano obiettivi imprenditoriali e stabiliscono un sistema di premi per il raggiungimento delle mete fissate o di sanzioni in caso di insuccesso (o con il quale si stabilisce una permanente “consultazione” tra un gruppo di soci e gli amministratori).
  3. Patto parasociale “di blocco” con il quale un gruppo di soci stabilisce di non cedere la propria partecipazione senza il consenso degli altri o senza prima offrirla in prelazione agli altri aderenti al patto (con tutte le varianti del caso in punto valore della partecipazione, ecc.).
  4.  Patto relativo all’uscita dalla società, con il quale sono aumentate rispetto a quanto prevede il codice civile le possibilità di recesso di un socio con obbligo degli altri soci di acquistare la partecipazione di chi recede (una sentenza recente ha affrontato il caso di un patto con il quale era data la possibilità a un socio investitore di cedere la sua partecipazione ad altri soci se gli utili della società fossero stati inferiori a una certa somma).
  5. Patto di finanziamento, con il quale, per esempio, si regolano gli apporti in denaro dei soci alla società e le fideiussioni alla stessa (una sentenza recente ha affrontato l’accordo relativo al c.d. “regresso” nei confronti degli altri soci del socio fideiussore che abbia pagato la banca garantita). Con questo tipo di patto si possono anche regolare i rapporti tra la società e finanziatori non soci (per esempio i sottoscrittori di “strumenti finanziari” emessi dalla società), attribuendo a tali finanziatori specifici poteri di controllo sulla gestione della società e sul rispetto del budget sottostante la decisione di concedere risorse alla società stessa. Con un patto simile, per esempio, un importante fornitore potrebbe impegnare i soci di una società cliente a non deliberare la distribuzione di dividendi fino al completo saldo delle forniture.

Le regole legali da rispettare.

I patti parasociali sono frequenti nelle società di grandi dimensioni in particolare in quelle quotate (sul sito della Commissione Nazionale Società e Borsa ne sono citati… ottantuno).

Tali accordi, invece, sono poco usati nelle piccole società, mentre converrebbe farne maggiore impiego.

Attraverso il patto parasociale è possibile regolare in modo efficiente la vita di una società per l’obiettivo del massimo rendimento per tutti gli interessati (soci e amministratori): conviene quindi conoscere questo strumento e farne un uso corretto.

I patti parasociali sono perfettamente validi in linea di principio.

Bisogna solo stare attenti a rispettare alcune regole su tali accordi contenute nella legge o dettate dalla giurisprudenza dei Tribunali-

I principali vincoli sono i seguenti:

Il patto deve avere una durata determinata (al massimo cinque anni e tre nelle quotate) e, se a tempo indeterminato, deve consentire Il recesso dei partecipanti, come prevede l’articolo 2341 bis del codice civile.

Il patto non dire violare il divieto di patto leonino, ossia la regola contenuta nell’articolo 2265 del codice civile (è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite).

Il patto non deve contrastare con l’interesse della società, favorendo indebitamente un socio o un gruppo di soci a danno degli altri.

Il patto non deve costituire uno strumento per esonerare gli amministratori da responsabilità per comportamenti futuri (ossia non deve favorire l’irresponsabilità di chi governa la società). Questo vuol dire che non è possibile rinunciare preventivamente all’azione di responsabilità verso gli amministratori.

La Cassazione ha infatti affermato (per esempio in una sentenza del 2010) che «Il patto parasociale che impegna i soci a votare in assemblea contro l’eventuale proposta di intraprendere l’azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori» è nullo «in quanto avente oggetto (la prestazione inerente alla non votazione dell’azione di responsabilità) o motivi comuni illeciti (perché la clausola mira a far prevalere l’interesse di singoli soci che, per regolamentare i propri rapporti, si sono accordati a detrimento dell’interesse generale della società al promovimento della detta azione, dal cui esito positivo avrebbe potuto ricavare benefici economici».

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Un patto parasociale può evitare le liti nelle società di famiglia..

Quando il patto parasociale è indispensabile? Nelle società “di famiglia”

C’è un caso in cui il patto parasociale serve sempre.

Si tratta del caso delle società “di famiglia“.

In queste società esistono rapporti “fluidi” che vedono un familiare (di solito genitore e fondatore dell’impresa) esercitare un ruolo di comando spesso neppure formalizzato (a volte il fondatore dell’impresa non ha neppure la maggioranza del capitale).

Quando questo ruolo viene meno (per malattia, morte, pensionamento o altro) o quando iniziano contrasti all’interno della famiglia (per esempio per un divorzio) la società viene a trovarsi in una condizione di grande confusione organizzativa che può portare alla distruzione dell’impresa con gli immaginabili danni (particolarmente gravi quando i familiari lavorano tutti o quasi nella società e non sono in grado di trovare facilmente un’altra collocazione lavorativa.

Un buon patto parasociale che assicuri il coinvolgimento di tutti i familiari nella gestione e che programmi il passaggio generazionale (magari con una clausola di “raffreddamento” delle liti) può risolvere in radice i rischi di questo tipo di società.

Dieci strategie legali per essere pagati dai clienti.

Continua la guida al recupero crediti.
Continua la guida al recupero crediti.

Un buon contratto da solo non basta per essere certi del pagamento della forniture e dei servizi.

Nella fase di esecuzione del contratto si nascondono diverse insidie che possono pregiudicare la soddisfazione dei propri crediti.

Per evitarle e avere certezza di pagamento occorre rispettare scrupolosamente le clausole del contratto e saper reagire agli imprevisti.

Ecco i dieci segreti per eseguire bene un contratto e non correre il rischio di insoluti.

Come entrare in una società senza rischi e senza perdere soldi.

Chi entra in una società deve pretendere un buono statuto.
Chi entra in una società deve pretendere un buono statuto.

Entrare in una società senza avere controllato il suo statuto significa rischiare di perdere il proprio investimento, ossia … i propri soldi.

Questa è una piccola guida che ti aiuterà a non perdere soldi e a entrare in una società in modo consapevole.

Prima di diventare socio di qualsiasi società bisogna verificare cosa prevede il suo statuto sui temi più importanti, come le maggioranze, la distribuzione degli utili, il recesso, il sistema di amministrazione e controllo.

In Italia esistono milioni di società, ma, di queste, solo pochissime hanno dei soci che negoziano le regole di funzionamento della società di cui fanno parte.

È soprattutto per questo motivo che spesso i soci di minoranza si ritrovano prigionieri di una società che non distribuisce utili e non li vede in alcun modo coinvolti ed è sempre per questa ragione che gli amministratori commettono irregolarità senza sufficiente controllo.

Associazione temporanea di imprese: l’attimo fuggente?

Un'iniziativa complessa richiede collaborazione.
Un’iniziativa complessa richiede collaborazione.

Quando un’iniziativa a è molto complessa o richiede vasti investimenti due o più imprese possono collaborare tra loro

Le collaborazioni tra imprese sono molto frequenti, ma occorre prestare attenzione al contratto di collaborazione perché spesso l’impresa economicamente più debole o meno attenta nella trattativa rischia di essere sopraffatta e quindi di incontrare difficoltà nel corso della collaborazione o addirittura di non riuscire a ottenere il ricavo sperato.

Queste associazioni rischiano, infatti, di essere solo un … attimo fuggente, a meno che non siano ben preparate e ben organizzate.

L’usura sopravvenuta non esiste (più)

L'usura è dibattuta da secoli. Lo dimostra una incisione di  incisione di Albrecht Dürer
L’usura è dibattuta da secoli. Lo dimostra una incisione di Albrecht Dürer

Una recentissima decisione della Cassazione ha stabilito che nei contratti bancari …  la c.d. “usura sopravvenuta” non esiste, ossia che il sistema legale italiano non conosce questo istituto.
Si tratta della sentenza a Sezioni Unite n. 24675 del 19 ottobre 2017.
Secondo tale decisione il tasso di interesse stabilito nei contratti di mutuo (ma ovviamente anche in ogni altro contratto di finanziamento) rimane valido anche se dopo la firma del contratto tale tasso risulti superiore alla soglia per la quale il tasso dovrebbe considerarsi “usurario”.
Il blog non insegue l’attualità, ma questa sentenza è talmente importante che ho pensato di ricordarla e di pubblicare il link alla stessa.
I Tribunali italiani sono investiti da moltissime cause relative al tema della usura bancaria.
In queste cause coloro che hanno restituito o devono restituire prestiti agiscono per vedere applicata nei confronti delle Banche la disciplina legale in tema di usura, contenuta principalmente:

Ingerenza in una società e obblighi di comportamento. La regola dell’articolo 2497 cod. civ.

Continua la guida alle società.
Continua la guida alle società.

È possibile dirigere o coordinare l’attività di una società dall’esterno di essa (per esempio l’attività di una partecipata in un gruppo di società.)

Chi dirige o coordina l’attività di una società “dall’esterno” lo deve però fare:

  • senza agire nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui;
  • secondo criteri di “corretta gestione sociale e imprenditoriale”.

Chi dirige o coordina senza rispettare questi criteri deve rispondere del suo operato.