Nelle S.R.L. i soci possono convocare l’assemblea?

In un’epoca in cui si è abituati a contatti veloci e virtuali tramite mail o chat, secondo il codice civile le decisioni dei soci delle s.r.l. devono ancora seguire una procedura formalizzata che pare urtare contro le esigenze di celerità e di efficienza ma che la legge tuttora ritiene fondamentale garanzia di regolarità (in effetti sarebbe molto complesso ricostruire un processo decisionale che sia svolto in modo del tutto informale tramite una chat o strumento simile).

Un recente importante orientamento giurisprudenziale afferma però che nelle s.r.l. i soci possono – a certe condizioni – “autoconvocare” l’assemblea anche se gli amministratori rifiutano di farlo.

Il principio è importante, perché talvolta nelle s.r.l. i soci non riescono a ottenere la convocazione dell’assemblea per l’ostruzionismo degli amministratori.

 

Le decisioni dei soci senza assemblea nelle s.r.l.

 

Per comprendere la questione occorre anzitutto ricordare che nelle s.r.l., a differenza di quanto accade nelle s.p.a., molte decisioni dei soci (ma non tutte) possono essere assunte senza la convocazione di un’assemblea e semplicemente attraverso una consultazione scritta dei soci o attraverso la raccolta del consenso scritto dei soci (a condizione che l’atto costitutivo preveda questi metodi di decisione: si veda l’articolo 2479 del codice civile).

Se, quindi, l’atto costitutivo lo prevede diverse decisioni dei soci (per esempio quella relativa all’approvazione del bilancio) possono essere assunte sulla base di una proposta di decisione circolarizzata tra i soci e da questi accettata (secondo il metodo della “consultazione scritta”) o attraverso la sottoscrizione di dichiarazioni di consenso dei soci (secondo il metodo della “raccolta del consenso”).

In pratica – senza particolari formalità – un socio può comunicare agli altri soci (per esempio a mezzo della posta elettronica o comunque con un sistema che assicuri certezza di trasmissione delle informazioni) una proposta di decisione (approvare il bilancio, rinnovare il consiglio di amministrazione, autorizzare una certa operazione dell’organo amministrativo…) e la proposta si ha per approvata se vi è il consenso della maggioranza dei soci prevista dallo statuto (ordinariamente il 51%) senza necessità della riunione fisica dei soci e nemmeno di un dibattito a mezzo telefonico o a mezzo di videoconferenza.

 

Quando nelle s.r.l. l’assemblea è obbligatoria ?

 

Non tutte le decisioni dei soci nelle s.r.l. possono essere assunte senza la celebrazione di una vera e propria assemblea.

Secondo il codice civile (articolo 2479) le decisioni dei soci devono essere assunte obbligatoriamente con le formalità assembleari (convocazione, riunione, verbalizzazione, ecc.) nei seguenti casi:

–        quando hanno a oggetto le modificazioni dell’atto costitutivo;

–        quando si riferiscono alla decisione di “compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci;

–        quando lo richiedono uno o più amministratori o un numero di soci che rappresenti almeno un terzo del capitale;

–        quando occorra provvedere ai sensi dell’articolo 2482 bis in caso di perdita che abbia ridotto il capitale di oltre un terzo.

Anche nelle s.r.l. vi sono quindi casi in cui l’assemblea deve essere obbligatoriamente convocata e deve obbligatoriamente svolgersi (e sono casi tutt’altro che infrequenti dato che molti atti costituitivi non prevedono la possibilità della decisione con consultazione dei soci o raccolta del loro consenso).

 

Richiesta di convocazione dell’assemblea e inerzia degli amministratori. Nelle s.r.l. manca una norma specifica.

Come si è visto vi sono situazioni nella quali anche nelle s.r.l. deve necessariamente svolgersi un’assemblea.

Può, però, accadere che gli amministratori, in buona o in mala fede, non provvedano a convocarla (per esempio perché non vogliono che si dia corso a una modificazione dell’atto costitutivo.

La parte del codice civile dedicata alle s.r.l. non contiene alcuna regola utile a risolvere la situazione di stallo che in questo modo si viene a creare.

La normativa sulle s.p.a., che è più completa, contiene invece una regola ad hoc, ossia l’articolo 2367 cod. civ., norma per la quale nelle s.p.a. i soci che rappresentino almeno un ventesimo del capitale sociale possono chiedere agli amministratori la convocazione dell’assemblea e in caso di loro inerzia rivolgersi al Presidente del Tribunale perché provveda in sostituzione degli amministratori stessi.

Per le s.r.l., invece, sembra esistere un vuoto normativo

 

La decisione della Cassazione del 25 maggio 2016 n. 10821

 

Sulla questione della convocazione dell’assemblea di s.r.l. su richiesta dei soci è intervenuta la Cassazione con la decisione n. 10821 del 25 maggio 2016.

Secondo questa decisione alle s.r.l. non può considerarsi applicabile, neppure per analogia, la regola dettata in materia di s.p.a. dall’articolo 2367

Per la Cassazione, infatti, nel nostro sistema legale s.r.l. e s.p.a. sono due tipi di società radicalmente diversi e non è quindi possibile “estendere” alle s.r.l. le regole del codice civile in materia di s.p.a.

Ciò detto la Suprema Corte ha affermato il seguente principio: nelle s.r.l. in caso di inerzia degli amministratori, l’assemblea può essere convocata direttamente da tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale.

La decisione precisa che questa soluzione è imposta dal fatto che secondo l’articolo 2479 del codice civile gli amministratori devono convocare l’assemblea quando ne facciano richiesta tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale.

Se, quindi, in tale situazione gli amministratori devono necessariamente convocare l’assemblea pare giustificato estendere l’applicazione della norma fino ad attribuire a chi rappresenti almeno un terzo del capitale il potere di “autoconvocare” l’assemblea.

La decisione conferma quanto in passato era già stato affermato da decisioni dei Giudici di Merito ed è stata poi ripresa dal Tribunale di Roma con una decisione del 14 febbraio 2017 (disponibile a richiesta).

In quest’ultima decisione si fa riferimento al concetto di “Inderogabilità della legittimazione dei soci in ipotesi di inerzia ostruzionistica dell’amministratore” ma si ammette che l’atto costitutivo possa liberamente determinare l’ammontare della partecipazione necessaria per poter convocare l’assemblea, a condizione che non si arrivi a “eliminare del tutto tale facoltà, provocando … la paralisi della vita societaria”

 

Conclusione

Il principio affermato dalla Cassazione è molto importante, soprattutto perché può a mio parere essere applicato anche al caso in cui lo statuto non ammette forme di decisione dei soci diverse dalla celebrazione di un’assemblea.

In questo caso, quindi, è comunque possibile ai soci procedere direttamente a convocare l’assemblea, salvando la società dalla paralisi.

 

È “ritornata” la denuncia al tribunale delle irregolarità nella gestione della S.R.L.

Nelle s.r.l. torna la denuncia al Tribunale

Dal 16 marzo 2019 sono entrate in vigore alcune parti del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14)

Si discute e si discuterà molto degli aspetti di diritto fallimentare, che sono il cuore delle nuove norme.

Devono però essere anche ricordate le nuove regole che interessano le società, tra cui il secondo comma dell’articolo 379., che reintroduce nel codice civile regole tali da dare  ai soci delle società a responsabilità limitata la possibilità (eliminata nel 2003) di denunciare al Tribunale “gravi irregolarità gestionali” nei modi regolati dall’articolo2409 c.c. per le società per azioni.

La questione merita di essere approfondita.

È possibile riscattare la partecipazione di un socio nella società?

Pochi sanno che il codice civile consente di inserire negli statuti delle s.p.a. e delle s.r.l. una clausola di “riscatto”, in base alla quale gli altri soci (o la società stessa) possono acquistare la partecipazione sociale di un socio al verificarsi delle condizioni previste nello statuto.

In presenza di una clausola di riscatto, in altre parole, il socio può essere estromesso dalla società anche contro la sua volontà, a condizione che gli sia versato un prezzo congruo per la partecipazione che deve cedere.

La clausola di riscatto può essere molto utile nei casi in cui si vuole controllare con attenzione la composizione del capitale sociale e l’identità dei soci, per evitare che facciano parte della società soggetti non graditi agli altri soci o a terzi come i clienti, i fornitori, la Pubblica Amministrazione, ecc.

Quando gli amministratori devono risarcire la società?

Gli amministratori  “scivolano” sulla responsabilità

Sul tema delle responsabilità di natura civile degli amministratori delle società spesso si hanno idee confuse e convinzioni errate.

Gli amministratori di qualsiasi società devono risarcire il danno che abbiano causato alla società stessa per avere operato in modo negligente o in conflitto di interessi.

Applicando le regole del codice civile è possibile richiedere agli amministratori infedeli o negligenti ingenti risarcimenti.

Le responsabilità penali degli amministratori sono note e molto temute (per esempio quelle per i reati di bancarotta, per l’evasione dell’IVA e le frodi fiscali o per le violazioni in materia di sicurezza sul lavoro).

Cosa è la prelazione nelle società?

Gli statuti di quasi tutte le società piccole (o comunque non quotate) quando non prevedono il divieto di cessione delle partecipazioni sociali dei soci  (come è usuale nelle società di persone), spesso prevedono un importantissimo limite a tale cessione, ossia la “clausola di prelazione”.

In base a tale clausola statutaria il socio che intende cedere la propria partecipazione alla società a un terzo (socio o non socio) è tenuto, prima di cederla a terzi, a rivolgersi agli altri soci interrogandoli sulla loro eventuale disponibilità ad acquistare la quota (o nelle s.p.a. le azioni che la rappresentano).

Se gli altri soci non sono interessati all’acquisto, allora il socio è libero di cedere la partecipazione a terzi.

La clausola di prelazione è utile a mantenere stabile il capitale sociale e ad evitare che terzi “indesiderati” possano entrare in società ovvero che si alterino gli equilibri tra soci; essa è nota a tutti ma è poco conosciuta nel dettaglio: è utile, invece, conoscerne tutti gli aspetti.

Come proteggere gli interessi del socio nel contratto di società.

In Italia esistono milioni di società. Stranamente i soci di tutte queste società di solito non leggono il contratto di società e normalmente non sanno assolutamente che cosa prevede questo documento.
Nel momento in cui ci sono conflitti tra i soci questa ignoranza pesa, perché si scopre con sorpresa che nel contratto di società ci sono clausole che danneggiano i propri interessi.
La protezione del socio deve cominciare dal contratto di società.
Chi non conosce il proprio contratto di società o non si impegna per adattarlo ai propri interessi si presenta sfavorito in caso di lite e può rischiare di non riuscire mai a recuperare il proprio investimento.

I soci delle S.A.S. possono cedere la loro partecipazione?

Sono cedibili a terzi le       quote di s.a.s?

Come in tutte le piccole società anche nelle società in accomandita semplice il tema della cessione della quota è complesso e delicato.

I soci accomandatari non possono mai cedere la propria quota, a meno che tutti gli altri soci non siano d’accordo.

I soci accomandanti possono cedere la loro quota ma solo in certi casi e a certe condizioni.

Conoscendo le regole è possibile valutare la possibilità di liquidare il proprio investimento in una s.a.s.

Come formare un’alleanza tra soci

Un’alleanza è utile alla     protezione dei soci

Un buon modo che i soci di una società hanno per tutelarsi è sottoscrivere un accordo di “alleanza” con altri soci.  

Attraverso un’alleanza tante posizioni minoritarie possono raggiungere la maggioranza o, almeno, contare di più nella vita della società.

Il patto di alleanza tra soci,  che si definisce patto parasociale,  deve essere negoziato e “costruito” tenendo ben presenti gli obiettivi che si vogliono raggiungere,  gli effetti legali di questo patto, la sua durata massima e il modo di farlo rispettare.

Le S.R.L. possono acquistare le proprie quote?

Quando un socio intende uscire da una s.r.l. spesso le parti coinvolte immaginano di poter far acquistare la sua quota alla società, in modo tale che sia possibile liquidare il socio senza che gli altri soci debbano versare risorse proprie e accollando alla società il prezzo da pagarsi al socio che esce dal gruppo sociale.

Anche nella s.r.l., quindi, si pensa di poter attuare un risultato analogo a quello che si ottiene nelle s.p.a. attraverso l’operazione di acquisto di azioni proprie regolata dall’articolo 2357 del codice civile.

La legge, tuttavia, vieta tradizionalmente alla s.r.l. di acquistare le proprie quote, allo scopo di proteggere il patrimonio della società, evitando che con tale acquisto si realizzi, in sostanza, una restituzione dei conferimenti dei soci e impedendo che il rischio dell’insolvenza dell’acquirente delle quote  possa cadere sulla società, senza che questa ottenga alcun beneficio.

Estinzione delle società. Sorte di beni, debiti e crediti

La società si estingue ma i beni non scompaiono!

Quando una società si estingue i beni e i crediti residui si trasferiscono ai suoi soci (che ne sono gli “eredi”).

I soci rispondono poi dei debiti della società nei limiti del valore di quanto loro assegnato, a meno che non fossero soci illimitatamente responsabili (in questo caso rispondono ancora dei debiti della società con tutto il loro patrimonio).

Questa è in sintesi la soluzione data alla giurisprudenza a un problema che tanti si pongono quando è necessario chiudere una società che ha però ancora un patrimonio.

Può succedere, per esempio, che l’attività aziendale sia esaurita da tempo ma che resti da vendere il complesso dell’officina e degli uffici che servivano per l’attività operativa o che si voglia evitare di mantenere una società attiva (con relativi costi di gestione) semplicemente perché c’è ancora da recuperare un grosso credito.

In tutti questi casi si pone il problema affrontato in questo post.