Chi è socio di una società deve conoscere bene gli strumenti per uscirne e liquidare la propria partecipazione.
Uscire da una società quotata o da una non quotata con mercato “liquido” delle partecipazioni (sono poche…) è abbastanza semplice: basta cedere la partecipazione, con il solo rischio legato all’andamento dei prezzi di mercato.
Uscire da una società non quotata o comunque da una società PMI senza mercato delle partecipazioni è piuttosto complesso.
Conviene quindi conoscere bene gli strumenti offerti dalla legge per l’uscita da una società.
La cessione della partecipazione.
Il modo più semplice e diretto per uscire da una società è costituito dalla cessione della partecipazione a un terzo.
Questa soluzione è però ostacolata sia da barriere di tipo economico (connesse all’assenza o alla scarsa efficienza del mercato delle partecipazioni sociali) sia da barriere di tipo legale.
Dal punto di vista economico è noto che è molto difficile cedere le partecipazioni della società non quotate, per il semplice motivo che la platea dei possibili compratori è veramente molto piccola.
Le barriere di tipo legale derivano dal fatto che per il codice civile le partecipazioni nelle società di persone non possono essere cedute senza il consenso di tutti i soci.
Questo mentre nella quasi totalità degli statuti delle società di capitali PMI italiane sono previsti ostacoli di diversa natura alla cessione delle partecipazioni (clausole statutarie di divieto di cessione, di prelazione o di gradimento).
Di tali ostacoli si parla in altri post ma va ricordato quello più insidioso, ossia la cosiddetta clausola di prelazione impropria.
In base a questa clausola statutaria chi vuole cedere la propria partecipazione è tenuto a offrirne in via preventiva l’acquisto agli altri soci.
Tali soci possono dichiarare di voler acquistare la partecipazione ma contestare il prezzo, dichiarandolo eccessivo e avviando una procedura di verifica del corrispettivo che può penalizzare il venditore, soprattutto quando lo statuto non prevede la possibilità di ritirare l’offerta o impone condizioni sfavorevoli per la verifica del prezzo di cessione, come il riferimento alle sole immobilizzazioni materiali o la valorizzazione dei rischi di impresa futuri (le clausole troppo “dannose” potrebbero considerarsi nulle, ma ovviamente per farne valere la nullità occorre avviare una causa…).
Chi programma un’operazione di cessione della propria partecipazione deve sempre considerare le barriere statutarie alla vendita e chi è socio deve sempre essere conscio che il suo investimento è difficilmente liquidabile proprio per gli ostacoli statutari alla cessione.
Il recesso
Uno strumento di uscita dalle società potenzialmente molto efficace è l’esercizio del diritto di recesso.
Come sempre accade per tutti i contratti di lunga durata il codice civile attribuisce, infatti, ai soci la facoltà di far cessare il rapporto sociale, dichiarando di “recedere” dalla società, ossia di interrompere il vincolo esistente tra loro e la società medesima.
Per ogni tipo di società il codice civile prevede diverse possibilità di recesso.
Per conoscere le varie possibilità di recesso si può consultare la presentazione proposta qui sotto (chi vuole può contattarmi per tutti i chiarimenti del caso, dato che la materia è piuttosto tecnica e non può essere esaurita in un articolo del blog.
In linea generale (sempre considerando che le norme vanno esaminate con molta attenzione) si può considerare che nelle società di persone può essere valorizzata la possibilità di recedere dalla società per “giusta causa”, dato che secondo la comune interpretazione dei Giudici la “giusta causa” di recesso è un concetto piuttosto ampio che comprende anche.
Per tutte le società, poi, può essere valorizzata la possibilità di recesso offerta dalla legge ai soci di tutte le società che sono contratte a tempo indeterminato o per tuta la vita di un socio.
La liquidazione della società
Un modo drastico ma talvolta efficace per ottenere la liquidazione dell’investimento e uscire da una società è provocarne la liquidazione nei casi previsti dalla legge.
Per il socio che detiene la maggioranza della società è sempre piuttosto agevole provocarne la liquidazione, dati i poteri connessi alla sua posizione.
Anche per il socio di minoranza non è impossibile provocare la liquidazione della società, dato che vi sono situazioni che la legge considera “cause di liquidazione della società”.
Nelle società di persone le cause di liquidazione più importanti sono:
- il decorso del termine di durata della società;
- il conseguimento dell’oggetto sociale o l’impossibilità di conseguirlo;
- la volontà di tutti i soci.
Nelle società di capitali si aggiungono le seguenti principali cause di scioglimento :
- l’impossibilità di funzionamento o la prolungata inattività dell’assemblea;
- la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale (salvo che sia deliberata una “ricapitalizzazione”;
Le iniziative di tutela della posizione di socio.
Vi sono casi in cui non è possibile utilizzare nessuno degli strumenti che si sono detti sopra (questo è tanto più probabile quanto minore è la quota di partecipazione del socio).
In queste situazioni non resta che agire, nei modi di legge, per tutelare la propria posizione di socio e quindi:
contestando e impugnando gli atti dell’assemblea e degli amministratori;
chiedendo tutte le informazioni che è possibile chiedere nel tipo di società di cui si fa parte (come detto in altro post i poteri informativi del socio sono massimi nelle società di persone e minimi nelle s.p.a.);
chiedendo, quando possibile, interventi di controllo del Collegio Sindacale e del Tribunale.
Di solito, con a incisive iniziative di autotutela, è possibile ottenere dagli altri soci il consenso alla liquidazione della propria partecipazione (acquistata dagli altri soci o