COME PROTEGGERSI NEI CONTRATTI DI FORNITURA.

Diverse persone che leggono il blog mi hanno chiesto di occuparmi di contratti.
La richiesta proviene soprattutto da chi ha l’esigenza di assicurare alla propria impresa un’effettiva tutela del credito e una sufficiente protezione contro eccezioni e richieste pretestuose.
In questa scomoda posizione si aspira, comprensibilmente,  ad avere a disposizione un repertorio di clausole di tutela che assomigli quanto più possibile ad un vero e proprio armamentario bellico.
È un tema, che non può certo esaurirsi in un breve post.
Comincio quindi oggi con un inquadramento generale del problema, riservandomi poi di approfondire via via le singole clausole contrattuali delle quali parlerò. Tralascio volutamente la questione dei contratti con i consumatori e la problematica della sottoscrizione specifica di talune clausole.
Secondo la mia personalissima classificazione le clausole protettive possono dividersi in  cinque categorie:
1.    clausole di definizione dell’oggetto della prestazione;
2.    clausole limitative della responsabilità
3.    clausole di decadenza;
4.    clausole di “sterilizzazione” delle azioni della controparte;
5.    clausole di autotutela.

LA CIRCOLAZIONE DELLE PARTECIPAZIONI NELLE SOCIETA’ DI PERSONE.

Nelle società di persone il trasferimento della posizione di socio a qualsiasi titolo implica una modificazione del contratto sociale da approvare all’unanimità, laddove nelle società di capitali vige il principio della trasferibilità della partecipazione sociale, trasferibilità agevolata dalla tecnica del titolo di credito nelle società per azioni.

Si tratta, però, di regole dispositivi e modificabili nella formazione del contratto di società.

Secondo il concreto modello di società che si prefiguri nella trattativa per la formazione del contratto sociale, si potrà preferire strutture societarie orientate nel senso della chiusura e dell’immutabilità tendenziale delle persone dei soci, o verso strutture più aperte che favoriscono, promuovono il disinvestimento delle partecipazioni dei soci, consentendone in misura maggiore o minore la circolazione.

CHE COS’E’ UN PIGNORAMENTO?

L’impresa che deve recuperare un proprio credito al pagamento di somma di denaro deve avere ben chiara la circostanza che per raggiungere il risultato sperato è necessario svolgere un procedimento finalizzato a rendere liquido il patrimonio del debitore, “trasformandolo” in denaro per la soddisfazione del credito.

Questo procedimento si chiama “esecuzione forzata” o “espropriazione” e prende avvio con il “pignoramento”.

Il pignoramento può essere effettuato solo se si è in presenza di un titolo esecutivo (cambiale, assegno, sentenza, decreto ingiuntivo) e solo dopo avere notificato formalmente al debitore un’intimazione di pagamento denominata “precetto” (salvo casi eccezionali occorre anche attendere dieci giorni dalla notificazione del precetto prima di procedere).

CHE COS’E’ UN DECRETO INGIUNTIVO?

L’impresa può obbligare i propri debitori a pagare solo se è in possesso di un “titolo esecutivo”, ossia di un atto in presenza del quale la legge consente l’aggressione del patrimonio del debitore per assicurare la soddisfazione del credito (aggressione che si definisce “pignoramento”).

Nella pratica degli affari si conoscono, anzitutto, i titoli esecutivi liberamente formati dalle parti (assegni, cambiali e altri titoli di credito e oggi anche scritture private autenticate da Notaio contenenti riconoscimento di debito).

I titoli esecutivi sono oggi normalmente costituiti da sentenze dei Tribunali (anche perché assegni e cambiali sono meno utilizzati di quanto avveniva in passato).

Per ottenere una sentenza occorrono, però, mesi o – più spesso – anni.

È bene quindi ricorrere allo strumento del “decreto ingiuntivo”.

SE LA SOCIETÀ È IN PERDITA GLI AMMINISTRATORI SONO TENUTI AL RISARCIMENTO DEL DANNO?

La società è un’organizzazione fondata sulla permanente delega delle funzioni gestionali a soggetti diversi dai soci.
L’utilità economica dell’investimento dei soci medesimi deriva – quindi – dalle capacità e dall’impegno degli amministratori, dai quali ci si attende la capacità di ottenere il massimo profitto per l’investimento dei partecipanti al capitale.
Il codice civile sancisce con diverse norme l’obbligo degli amministratori delle società di agire con diligenza e il loro dovere di risarcire la società del danno derivante dalla violazione di tale dovere (art. 2260 per le società di persone, 2392 per la s.p.a. e 2476 per la s.r.l. Regole recenti hanno reso più incisiva la disciplina della responsabilità degli amministratori, consentendo direttamente ai soci di agire in giudizio per conto e nell’interesse della società per ottenere la condanna degli amministratori al risarcimento del danno.
È convinzione comune che gli amministratori debbano risarcire il danno sofferto dalla società per effetto del cattivo andamento della gestione aziendale.
Si tratta di una convinzione non corretta.

ARBITRO O GIUDICE. CHI PREFERIRE?

Nella pianificazione legale dell’impresa una delle scelte più importanti (forse la Scelta essenziale e primaria) si riferisce all’opzione tra il ricorso alla tutela offerta dall’Autorità Giudiziaria e quella offerta dalla giustizia “privata” amministrata da un Arbitro (o da un Collegio Arbitrale).
Nel sistema giuridico italiano è, infatti, possibile affidare la soluzione delle controversie a un Arbitro, che rende una decisione, definita “lodo”, idonea a risolvere la lite, operando una scelta tendenzialmente definitiva, nel senso che non è possibile alcun ripensamento e, quindi, il ricorso alla Giustizia Ordinaria quando si sia optato per l’arbitrato.
Per effetto della stratificazione storica delle norme e delle prassi si conoscono due tipi di arbitrato.
Il primo è l’arbitrato “rituale”, che si conclude con un lodo di contenuto decisorio suscettibile di essere messo forzatamente in esecuzione, come se fosse una sentenza di Tribunale (e impugnabile in Corte d’Appello come avviene per le sentenze).
Il secondo tipo di arbitrato è, invece, quello “irrituale”, che si risolve in un accordo contrattuale steso dall’arbitro (o dal Collegio Arbitrale) per conto delle parti con intento transattivo (la differenza tra i due arbitrati è nella prassi, peraltro, spesso sfumata, dato che anche l’arbitrato irrituale può risolversi in una vera e propria decisione.

NOVITÀ PER IL CONCORDATO PREVENTIVO

Novità per il concordato preventivo.

A giorni entrerà in vigore la riforma del concordato preventivo contenuta nell’articolo 33 del “decreto crescita” estivo convertito dalla legge 134/2012, riforma destinata a “favorire la continuità aziendale” delle imprese in crisi: qui di seguito qualche annotazione sulle maggiori novità di interesse aziendale (prescindendo dalle innovazioni relative al contenuto tecnico-processuale della sequenza concordataria).

GLI ASSEGNI “IN GARANZIA”: UNO STRUMENTO INEFFICACE?

Gli assegni "in garanzia": Uno strumento inefficace?Nella pratica degli affari il ricorso alle cambiali a garanzia dei pagamenti futuri va sempre più diminuendo.
Capita, infatti, spesso che al momento della conclusione di un accordo commerciale che preveda dilazioni di pagamento una parte consegni all’altra uno o più assegni privi della data e del luogo di emissione (o con data posticipata) a garanzia del futuro pagamento.
Questi titoli sono privi degli elementi di cui al n. 5) dell’art. 1 del R.D. n. 1736 del 1933 (legge assegni), in assenza dei quali il titolo non vale come assegno (v. art. 2 legge assegni).
Si tratta di un uso diffuso, specie in contesti nei quali è difficile o troppo costoso il ricorso a forme più evolute di garanzia, come la fideiussione bancaria.
In queste situazioni è bene avere la massima cautela.
Un significativo orientamento giurisprudenziale ritiene, infatti, che l’assegno privo di data sia nullo, potendo valere solo in via eventuale quale promessa di pagamento (Cassazione civile 6 marzo 2006 n. 4804; Cassazione civile 14 novembre 2001 n. 14158; Cassazione civile 30 maggio 1996 n. 5039).

LA PROCEDURA DI CONCILIAZIONE: UN VANTAGGIO O UN COSTO PER L’IMPRESA?

La procedura di conciliazione: Un vantaggio o un costo per l'impresa?La legge impone a chi voglia avviare una causa civile relativa a determinate materie di tentare preventivamente il raggiungimento di un accordo con la controparte con l’assistenza di un Organismo di Mediazione.
La procedura preventiva di conciliazione è attualmente obbligatoria per determinate liti, come quelle relative ai rapporti di locazione al risarcimento danni da responsabilità medica e – soprattutto – ai contratti assicurativi, bancari e finanziari.
È, però, naturalmente possibile un accesso più ampio alla conciliazione.
Un soggetto (o in particolare l’impresa) che voglia iniziare una lite può, infatti, rivolgersi su base volontaria a un organismo per la mediazione delle controversie, sollecitando un tentativo di composizione del conflitto.

DECRETO SVILUPPO 2012: IMPORTANTI NOVITÀ PER LA SOLUZIONE NEGOZIATA DELLA CRISI D’IMPRESA

Decreto sviluppo 2012Dopo l’abolizione dell’istituto dell’amministrazione controllata la normativa italiana sulla crisi d’impresa non prevedeva alcuno strumento agile e deformalizzato di protezione dell’impresa in crisi dalle azioni dei creditori e non conteneva una regola che consentisse all’impresa in difficoltà (ma non fallita) di sciogliersi dai contratti in corso.
Sul punto non mancavano gli esempi degli ordinamenti stranieri e non sarebbe stato impensabile introdurre uno strumento normativo orientato alla moratoria delle azioni dei creditori e alla risoluzione dei contratti per un periodo sufficiente a consentire la ricerca di una soluzione alla crisi d’impresa.
Il decreto sviluppo n. 83/2012 segna un’importante svolta nella direzione della gestione semplificata della crisi d’impresa, modificando la legge fallimentare.