L’IMPRESA E LE LITI. ORIENTARSI NELLA COMPLESSITÀ

Negli ultimi decenni la giustizia civile e quella amministrativa hanno visto ampliare in maniera davvero notevole il proprio spazio di intervento.
Posizioni di interesse che fino a qualche decennio fa non erano nemmeno oggetto di attenzione sono oggi al centro di cause ricorrenti.
Questo accade, ad esempio, nei rapporti tra imprese, consumatori e utenti (ove, per esempio, sono emersi con prepotenza il tema della tutela dei soggetti “deboli” e quello della protezione della riservatezza dei dati personali).

IL CONCORDATO PREVENTIVO, L’IMPRESA E I SUOI CREDITORI.

Concordato preventivo. Le regole della crisi d’impresa sono molto cambiate negli ultimi anni.

Per tradizione secolare l’insolvenza dell’imprenditore commerciale determinava l’apertura a suo carico di una procedura fallimentare, finalizzata ad assicurare il pagamento proporzionale di tutti i creditori in condizioni di parità e caratterizzata da una forte impronta punitiva.

Nella prima metà del ventesimo secolo il sistema è stato mitigato offrendo al debitore “onesto e sventurato” la possibilità di concordare con i creditori non privilegiati (che votano a maggioranza) le condizioni della liquidazione dell’attivo, con forte attenuazione degli effetti sanzionatori dell’insolvenza.

Alla fine del ventesimo secolo un movimento di riforma legislativa ha favorito il concordato preventivo (per esempio eliminando il principio dell’intangibilità dei privilegi) e introdotto un innovativo strumento di composizione contrattuale della crisi d’impresa, definito “accordo di ristrutturazione dei debiti” (di cui parleremo ancora).

Nel nuovo sistema i soggetti coinvolti nella crisi d’impresa devono considerare con molta attenzione i vantaggi e gli svantaggi di una procedura di concordato preventivo, che è complessa e piuttosto costosa (per effetto dei molti interventi professionali richiesti) oltre che caratterizzata – nella pratica – da possibilità d’intervento molto forti del Tribunale e del Commissario da questo nominato.

È presto per fare dei bilanci sul “nuovo” concordato preventivo e sulle sue tante implicazioni.

Forse, però, si può ipotizzare che il concordato preventivo sia utile soprattutto per assicurare la continuità di aziende in funzionamento, che può essere favorita da accordi con i creditori per la sistemazione delle pendenze precedenti e la continuazione dei rapporti di credito e di fornitura.

In questa situazione una “buona” procedura concordataria potrebbe prevedere la cessione dell’azienda “purgata” dai debiti (e accompagnata da opportuni provvedimenti per la tutela occupazionale e previdenziale) e quindi il pagamento di quanto proposto ai creditori.

Il concordato è invece, forse, poco utile quando si tratti della mera liquidazione di un patrimonio (immobili, macchinari, strumenti finanziari…).

In questi casi la procedura potrebbe rivelarsi solo un procedimento più oneroso rispetto a quello fallimentare (salva, forse, la maggiore celerità delle vendite, tutta da verificare) e spesso sfociare in una dichiarazione di fallimento motivata dall’impossibilità di adempimento della proposta concordataria.

L’impresa in crisi deve considerare attentamente la convenienza della soluzione concordataria, mentre i creditori non possono limitarsi, nel compiere dal loro punto di vista la medesima valutazione, a considerare la percentuale di soddisfacimento loro offerta: essi dovrebbero, invece, esaminare con attenzione

IL PROBLEMA DELLA LIBERAZIONE DEL FIDEIUSSORE “OMNIBUS”.

Di frequente i soci (e ancora di più gli amministratori) di una piccola società sono chiamati a prestare garanzia fideiussoria per l’esposizione bancaria della società medesima.
Spesso la fideiussione è del tipo “omnibus” e garantisce – pertanto – l’adempimento delle obbligazioni dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura, già consentite o che fossero consentite, alla società garantita.
Normalmente il fideiussore è, però, partecipe della vita sociale e si rende ben conto del rischio di una simile garanzia.

ADOTTARE IL MODELLO 231. UN VANTAGGIO O UN COSTO INUTILE?

Di Roberto Galdino*

La risposta alla domanda che spesso viene posta da chi si trova davanti al dilemma se adottare o meno il Modello 231 risiede nel vantaggio che da una simile scelta può giungere.
Dall’adozione del Modello 231, oltre alla esimente dalle responsabilità amministrative proprie delle persone giuridiche in sede penale ai sensi del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, si possono conseguire ulteriori concreti vantaggi misurabili tanto in termini organizzativi quanto in termini di rientro dell’iniziale investimento sostenuto per adottarlo che di accesso a nuove opportunità di business.

LA FIDEIUSSIONE DEL NULLATENTE: PER TUTTA LA VITA SULLA TORRE DEI DEBITI?

Non è infrequente che gli Istituti di Credito chiedano e ottengano – negoziando la concessione di crediti – garanzie fideiussorie di soggetti che sono e con ogni probabilità saranno nullatenenti o comunque privi di rilevante patrimonio.
Queste persone assumono un’obbligazione, che non saranno mai in grado di soddisfare perché assolutamente sproporzionata alle loro condizioni patrimoniali: in questo modo è condizionata l’intera esistenza del garante, costretto – secondo un’espressione corrente in Germania – a una vita «sulla torre dei debiti».
Nella giurisprudenza della vicina Germania (di cultura e tradizione giuridica assimilabile alla nostra) siffatta prassi è oggetto di valutazioni negative.
A volte si è riscontrata una violazione del § 138 BGB (codice civile tedesco) in base al quale è nullo il negozio contrario al buon costume. Altre volte la valutazione negativa è stata fondata sull’applicazione del § 310 BGB che sancisce la nullità di alienazioni (o di costituzione di usufrutto) aventi a oggetto beni futuri e che garantirebbe il «diritto inalienabile alla speranza e al perseguimento della felicità».

UNA RIFLESSIONE SUL DECRETO 231/01 DIECI ANNI DOPO.

La responsabilità penale-amministrativa di cui al decreto legislativo 231/2011 ( “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”) comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie o interdittive quando vengano commessi dei reati nell’ambito dell’organizzazione di: Enti forniti di personalità giuridica, società fornite di personalità giuridica e associazioni anche prive di personalità giuridica, Imprese individuali  (Cass. 15 dicembre 2010, n. 15657) e – forse – studi professionali (Cass. Pen. n. 4703 del 7 febbraio 2012 riferita a laboratorio odontotecnico in forma di società in nome collettivo).
Questa responsabilità, come è noto, è esclusa in caso di adozione da parte degli Enti di modelli organizzativi idonei a prevenire il compimento dei reati.

DANNO ALLA SOCIETÀ E DIMINUZIONE DEL VALORE DELLE PARTECIPAZIONI SOCIALI.

Uno dei problemi ricorrenti del diritto delle società è quello della diminuzione (o della perdita) di valore delle partecipazioni sociali derivante da un danno sofferto dalla società.
Si possono prospettare diversi casi:
– la società subisce gli effetti di una crisi di mercato o di altro evento esterno (condizioni metereologiche avverse, restrizioni alle esportazioni, ecc.);
– un terzo provoca danno alla società in violazione di obbligazione contrattuale: questo accade, per esempio, quando gli amministratori mancano di adempiere i propri doveri, o quando un cliente non paga una fornitura;
– un terzo provoca danno alla società senza violazione di obbligazione contrattuale: questo accade, per esempio, quando la Pubblica Amministrazione non adempie un obbligo di sovvenzione ovvero quando la società è vittima di un illecito.

I “FINANZIAMENTI SOCI” PER LA SENTENZA 2748/2012 DELLA CASSAZIONE.

 

Nelle piccole società bisogna mettere spesso mano al portafoglio...
Nelle piccole società bisogna mettere mano al portafoglio…

La Cassazione (sentenza n. 2758 del 23 febbraio 2012) è tornata sul tema dei “finanziamenti soci” alle società di capitali.
La decisione, resa in una controversia in materia di bilancio, fa il punto sulla natura giuridica di queste erogazioni, precisando che può trattarsi, in alternativa:
– di somme date a titolo di mutuo con l’obbligo per la società di restituire la somma ricevuta a una determinata scadenza.
– oppure di «erogazioni che, pur non costituendo veri e propri conferimenti di capitale e non implicando perciò l’acquisizione o l’incremento di quote di partecipazione nella società, sono destinate ad accrescerne il patrimonio, confluendo perciò in apposite riserve con la denominazione di versamenti “in conto capitale” o “in conto copertura perdite di capitale” o altre simili.»
Secondo la Suprema Corte per stabilire «quando si è in presenza di un versamento in conto capitale di rischio e quando, invece, le somme versate dai soci alla società configurano un vero e proprio rapporto di mutuo, o a questo comunque assimilabile, occorre naturalmente rifarsi alla volontà negoziale delle parti, e quindi al modo in cui essa si è manifestata, desumibile anche, in difetto di altro, dalla qualificazione della relativa posta nel bilancio d’esercizio approvato con il voto dello stesso socio conferente. Ma la prova che il versamento operato dal socio sia stato eseguito per un titolo che giustifichi la pretesa di restituzione – prova della quale è onerato il medesimo socio – dev’essere tratta non tanto dalla denominazione con la quale il versamento è registrato nelle scritture contabili della società, quanto soprattutto dal modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi».

DIVORZIO NON CONSENSUALE FRA SOCI: NELLE SOCIETÀ DI PERSONE SI PUÒ

Il socio amministratore di una s.n.c. o l’accomandatario di una s.a.s. ha venduto a prezzo vile il principale cespite della società, ha violato il divieto di concorrenza di cui all’articolo 2301 c.c. L’accomandante o il socio non amministratore di una s.n.c. ha violato l’obbligo di conferimento.
In queste, come in altre situazioni simili, è possibile l’esclusione del socio di una società di persone.
Il procedimento di esclusione è disciplinato dall’articolo 2287: «L’esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci, non computandosi nel numero di questi il socio da escludere, ed ha effetto decorsi trenta giorni dalla data della comunicazione al socio escluso. Entro questo termine il socio escluso può fare opposizione davanti al tribunale, il quale può sospendere l’esecuzione. Se la società si compone di due soci, l’esclusione di uno di essi è pronunciata dal tribunale, su domanda dell’altro».

AFFITTO DI AZIENDA. UNA STORIA ESEMPLARE.

Marco è socio e amministratore unico di una società che lavora in edilizia e in questo periodo è molto preoccupato: a casa se ne sono accorti, ma non osano chiedere perché.
È successo che due grossi clienti sono falliti e che il Comune di Nonpago ha bloccato tutti gli Stati di Avanzamento Lavori della costruzione della palestra: all’ufficio contabilità dicono che c’è il patto di stabilità, una bella scusa per non pagare.
L’avvocato, che costa anche un po’ di soldi, ha mandato delle intimazioni, ma si è capito che non può fare niente.