La maggior parte degli imprese e dei professionisti trascura di considerare che la legge consente di ottenere il pagamento di interessi in misura veramente significativa in determinati casi di ritardo nel pagamento da parte dei clienti.
Di solito ci si accontenta di riscuotere il credito anche in ritardo, trascurando completamente di richiedere il pagamento degli interessi moratori.
In base a quanto previsto dal codice civile (artt. 1224 e 1284) in caso di ritardo nel pagamento è dovuto l’interesse legale stabilito annualmente con decreto ministeriale e attualmente pari allo 0,30%.
Accanto alla disciplina del codice civile deve però essere considerata quella contenuta nel decreto legislativo 9 ottobre 2002 numero 231 relativo alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Si tratta del decreto di “recepimento” in Italia della Direttiva Comunitaria in materia di ritardo nei pagamenti (la n. 2000/35/CE)Il campo di applicazione del d. lgs. 231/2002
La disciplina di questo decreto è applicabile solo ai pagamenti effettuati a titolo di corrispettivo di una transazione commerciale, per tale intendendosi un contratto comunque denominato intercorso tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni che comporti in via esclusiva o prevalente la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo.
Secondo il decreto per “impresa” si deve intendere ogni soggetto che eserciti un’attività economica organizzata o una libera professione.
Il decreto, come detto, non è applicabile quando il debitore sia un soggetto non Imprenditore, per esempio una famiglia.
Quando la normativa del decreto 231 è applicabile in caso di ritardo nel pagamento sono dovuti gli interessi di mora, pari al tasso applicato dalla Banca Centrale Europea nelle principali operazioni di rifinanziamento maggiorato di otto punti: di fatto il Ministero dell’Economia indica periodicamente il tasso moratorio vigente e sullo web sono disponibili diverse applicazioni gratuite per il suo calcolo.
In questo momento (settembre 2018) il tasso legale di mora è pari all’8%.
Quando un credito si considera scaduto?
Secondo il decreto 231 (articolo 4) un credito si considera sempre scaduto quando sono decorsi i seguenti termini:
- trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente (non hanno effetto sulla decorrenza del termine le richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento);
- trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;
- trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;
- trenta giorni dalla data dell’accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.
E se il debitore è una pubblica amministrazione?
Per l’articolo 4 del decreto 231 i termini di pagamento sono raddoppiati:
a) per le imprese pubbliche che sono tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza di cui al decreto legislativo 11 novembre 2003, n. 333;
b) per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tale fine.
Sempre per l’articolo 4 nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento non superiore a sessanta giorni ma comunque superiore a quello previsto in via generale dal decreto quando ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche. In ogni caso i termini di pagamento non possono essere superiori a sessanta giorni e la clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto .
E in caso di pagamento a rate?
Secondo il decreto 231 le parti hanno ovviamente la possibilità di concordare termini di pagamento a rate ma qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi legali di mora sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi scaduti
Gli interessi moratori sono applicabili al contratto di appalto?
In generale spesso si usa il termine “appalto” (più o meno esattamente) per indicare tra ipotesi:
1] appalto di servizi;
2] appalto di fornitura di beni;
3] appalto di opere.
L’appalto di servizi riguarda l’espletamento di attività come servizi di consulenza, informatici, di ingegneria, pulizia, ecc.
L’appalto di fornitura di beni riguarda l’approvvigionamento dei prodotti necessari a un’impresa, appartenenti a tutte le categorie merceologiche.
L’appalto di opere, infine, riguarda le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione restauro e manutenzione o simili.
Per quanto previsto dal decreto legislativo 231/02, alle prime due categorie dell’appalto è indubbio si applichi lo stesso decreto, mentre per la terza categoria va esaminato, caso per caso, quale sia l’aspetto prevalente dell’oggetto del contratto.
Nell’ambito di molti appalti di opere è indubbio che l’opera” è assolutamente prevalente sul resto e che i materiali (fornitura) sono assolutamente minoritari, accessori e complementari all’oggetto principale del contratto che consiste nella realizzazione di opere edili.
Secondo la giurisprudenza in tali casi, quindi, deve escludersi l’applicazione degli interessi moratori ex d.lgs. 231/2002 e si possono applicare solo gli interessi legali, di misura molto inferiore, salvo che le parti abbiano concordato nel contratto di applicare le regole del decreto.