In caso di ritardo nel pagamento il sistema legale italiano consente al creditore di ottenere, in aggiunta al capitale, anche il pagamento di interessi di mora e di una somma ulteriore a titolo di “maggiore danno” (la “mora” è la condizione nella quale si trova il debitore che non ha tempestivamente saldato il proprio debito).
Gli interessi sono dovuti quasi sempre in modo “automatico”, mentre il maggiore danno si considera presunto solo entro un certo limite, oltre il quale deve essere provato rigorosamente dal creditore.
In un altro post si parla degli interessi, del loro decorso e della loro misura (che può arrivare al 12% in caso di ritardo nel pagamento di prodotti agricoli e agroalimentari).
Qui propongo qualche indicazione sul tema del pagamento di una somma superiore agli interessi a titolo di risarcimento del danno.
La regola dell’articolo 1224 del codice civile.
Per l’articolo 1224 del codice civile (c.c.) la conseguenza naturale del ritardo nel pagamento di una somma di denaro e l’obbligo di pagare degli interessi.
Sempre l’articolo 1224 consente però al creditore di chiedere e ottenere attraverso un’azione civile presso il Giudice competente il risarcimento del danno maggiore rispetto agli interessi a condizione che nel contratto non fosse stata prestabilita la misura degli interessi di mora.
In altre parole: normalmente la temporanea indisponibilità sul denaro dovuto dal debitore provoca un danno compensato dall’applicazione del tasso di interesse previsto dalle diverse disposizioni di legge, tasso che va da quello legale minimo (attualmente pari allo 0,30%) ai tassi maggiori previsti per i rapporti qualificabili come “transazione commerciale”.
Può, però, accadere che il creditore subisca un danno maggiore e che ne voglia ottenere il risarcimento.
Le ipotesi di danno non “coperto” dagli interessi moratori.
Le ipotesi che si presentano normalmente all’attenzione dei giuristi sono tre:
– il danno conseguente alla riduzione del valore della moneta a causa dell’inflazione;
– il danno conseguente alla necessità di ricorrere al credito bancario;
– il danno conseguente all’impossibilità di “far fruttare” il denaro.
In tutti i casi si segue un criterio identico: il danno è risarcibile se il tasso degli interessi moratori è inferiore in percentuale: i) alla perdita di valore della moneta; ii) ovvero al tasso di remunerazione dei prestiti richiesto dagli istituti di credito; iii) ovvero ancora al rendimento che il denaro avrebbe potuto avere
Per agevolare i creditori nella richiesta di risarcimento del maggior danno rispetto all’interesse moratorio la giurisprudenza ha elaborato delle linee guida che devono essere tenuti presenti qualora si voglia avviare un’azione per il pagamento di somme superiori agli interessi (per la definizione di giurisprudenza si veda qui).
Delle tre ipotesi sopra dette, ovviamente, la prima in questo periodo non è particolarmente rilevante (il tasso di inflazione per l’intera collettività misurato dall’ISTAT nel giugno 2018 era dello 1,5%).
Il criterio presuntivo del “Rendistato”.
Secondo la giurisprudenza il maggiore danno ai sensi dell’articolo 1224 c.c. deve essere sempre provato dal creditore che intenda ottenerne il risarcimento dal debitore moroso.
Per evitare difficoltà probatorie eccessive si è però affermato il seguente principio:
nel caso di ritardato pagamento di una somma di denaro, il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, c.c. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.).
Quello ora citato è un estratto della decisione della Cassazione a Sezioni Unite n. 19499 del 16 luglio 2008, alla quale hanno fatto seguito diverse decisioni del tutto identiche, che hanno riaffermato il principio per cui il danno non coperto degli interessi può essere calcolato rapportandola al tasso indicato dalla decisione ora citata (il c.d. tasso “Rendistato”).
Il danno per oneri bancari.
Il creditore può avere subito un danno superiore al Rendistato per effetto del ricorso al credito bancario imposto dal ritardo di pagamento.
Non è infrequente, per esempio nel settore delle costruzioni, che il ritardo nel pagamento di una commessa importante, metta letteralmente “in ginocchio” l’impresa, costringendola a chiedere credito bancario e quindi a pagare i relativi interessi e le connesse spese bancarie.
In questa ipotesi non è assolutamente sufficiente una generica dichiarazione di avere subito il danno.
Secondo la giurisprudenza il creditore deve formulare al Giudice un’apposita domanda di condanna del proprio debitore e dimostrare di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi e produrre la serie completa degli estratti conto dai quali si possa evincere lo scoperto bancario nel periodo di riferimento, ossia quello durante il quale il creditore stesso avrebbe dovuto incassare i corrispettivi e da cui si deduca che, a causa del ritardo, si sono dovuti dovuto pagare interessi passivi bancari.
La produzione in giudizio di tutti gli estratti conto può essere particolarmente gravosa e anche poco opportuna, specie se la controparte è un concorrente del creditore o soggetto al quale per qualsiasi ragione non sia opportuno far conoscere la situazione bancaria del creditore.
Per tale ragione le richieste di risarcimento del danno per oneri bancari sono piuttosto rare.
Il danno per perdita di opportunità di investimento.
Anche il danno per perdita di opportunità di investimento deve essere provato con rigore.
In diversi casi, per esempio, la giurisprudenza ha affermato che è onere del credito provare attraverso la produzione dei bilanci – quale sia la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite: se la produttività è notevole e superiore al tasso di interesse è possibile ottenere un risarcimento parametrato, appunto, alla redditività dell’impresa
E il danno per lo stress e la rabbia?
È inutile negarlo. Un debitore che non paga provoca senso di rabbia, frustrazione e fastidio: in altre parola provoca stress.
Questo sentimento è ovviamente riferibile solo al caso in cui il creditore sia una persona fisica.
Spesso chi si rivolge a un avvocato chiede che si agisca non solo per capitale, interessi e maggior danno in senso finanziario ma anche per il risarcimento del danno “psicologico” da inadempimento.
La legge non prevede però nulla in proposito e la giurisprudenza non pare essere aperta a questo sviluppo nella tutela del credito.
Questo probabilmente perché si ritiene che le esigenze e i valori umani coinvolti in una transazione economica non coinvolgano il diritto personale alla salute e alla tranquillità.