Gli interrogativi sulla successione nell’impresa.
Cosa devo fare per essere sicuro che dopo la mia morte la mia azienda passi a una delle mie figlie senza che gli eredi litighino?
Come faccio a essere sicura che il mio coniuge porterà avanti da solo il nostro negozio senza interferenze dei figli?
Domande come queste sono frequenti ed esprimono una situazione di disagio diffuso in un Paese come il nostro in cui il panorama imprenditoriale è popolato di piccole e piccolissime imprese a base familiare.
In effetti, il momento della morte dell’imprenditore è veramente critico e può portare alla dispersione irreparabile dell’impresa costruita per tutta una vita: si calcola che solo una modesta quota di imprese riesce a sopravvivivere alla morte del fondatore.
La morte apre il procedimento di “successione” e quindi la trasmissione dei beni al defunto.
Se fra i beni sono compresi un’azienda o una quota societaria e il defunto non ha dato in proposito disposizioni nel proprio testamento tali elementi produttivi si trasferiscono in comproprietà ai coeredi.
Questa situazione provoca di solito problemi di gestione imprenditoriale.
Alla morte dell’imprenditore spesso si verificano conflitti tra l’erede che vuole continuare la gestione d’impresa e quello che vuole solo “liquidare” o, peggio, comincia una battaglia tra eredi che hanno idee diverse su come continuare l’attività d’impresa.
In una situazione di conflitto le imprese non possono certamente prosperare e spesso finiscono con il chiudere i battenti.
La Relazione del Parlamento Europeo del 1° luglio 2015 sulle imprese a conduzione familiare in Europa riferisce che «ogni anno in Europa vi sono circa 450.000 successioni nelle imprese familiari, che coinvolgono approssimativamente 2 milioni di persone in totale. A causa delle numerose difficoltà associate a tali successioni, si calcola che ogni anno fino a 150.000 imprese sono costrette a chiudere, con una perdita di quasi 600.000 posti di lavoro».
La sorte dell’azienda trasferita con testamento o con donazione. Il problema dei legittimari.
La situazione sembrerebbe migliore se prima di morire il defunto avesse disposto della propria azienda o della propria partecipazione societaria con il testamento (o con una donazione.)
Il defunto potrebbe, infatti, avere deciso il trasferimento a un certo erede della propria azienda o della propria partecipazione societaria, in modo da evitare conflitti.
In realtà questa soluzione non è praticabile, perché nessuno è libero di disporre come vuole dei propri beni in caso di morte.
La legge, infatti, prevede che dopo la morte, anche se sono stati effettuati dei trasferimenti di beni per testamento o per donazione, il coniuge e i discendenti (e in loro mancanza gli ascendenti del defunto) hanno diritto a ricevere una certa percentuale dei beni oggetto della successione.
Questi soggetti sono denominati “legittimari” e sono indicati nella tabella che segue:
Per assicurare i diritti dei legittimari dopo la morte, tutti i beni dei quali il defunto ha disposto con testamento o (con donazioni non collegate al decesso) devono essere riuniti contabilmente con un procedimento denominato “collazione”, per la verifica di eventuali lesioni dei diritti dei legittimari.
Se un erede ha ricevuto per testamento o per donazione più di quanto a lui spetta, egli è tenuto a restituire l’eccedenza ai legittimari, subendo così la “riduzione” di quanto ricevuto.
Questo procedimento è particolarmente critico quando nel patrimonio del defunto sono presenti un’azienda o una partecipazione societaria, dati il pesante onere e la situazione di incertezza ai quali è esposto l’erede “preferito” ai legittimari e quindi tenuto a sottostare alla collazione.
La criticità della situazione deriva anche dal fatto che la legge (articolo 458 del codice civile) esclude espressamente la validità della rinuncia a diritti derivanti da una successione futura: durante la vita dell’imprenditore non è quindi possibile raggiungere un accordo con i futuri eredi per l’assegnazione dei beni produttivi o uno o più eredi predeterminati.
Il “patto di famiglia”.
Dal 2006 il codice civile prevede uno strumento finalizzato ad assicurare il trasferimento delle aziende o delle partecipazioni societarie a uno specifico erede anche in deroga alle disposizioni sulle quote di legittima.
Questo strumento è il “patto di famiglia”, regolato dagli articoli 768bis e seguenti del codice civile medesimo.
Si tratta di un accordo da stipularsi a pena di nullità con le particolari forme solenni dell’atto notarile pubblico.
Con tale convenzione l’imprenditore, prima della sua morte, trasferisce la propria azienda o la propria partecipazione societaria a un erede da lui liberamente individuato (evidentemente la scelta cadrà sul soggetto più idoneo a continuare l’attività d’impresa): come si vedrà in altro post a certe condizioni questo trasferimento avviene senza pagamento d’imposta.
All’accordo devono partecipare il coniuge dell’imprenditore e tutti coloro che al momento in cui è stipulata la convenzione avrebbero diritto a una quota di eredità (appunto i “legittimari”).
I legittimari ai quali non è trasferita la proprietà dell’azienda o della partecipazione societaria devono essere “liquidati” con denaro o con beni in natura, per un valore corrispondente a quello che avrebbe la quota ereditaria loro riservata.
Dal punto di vista pratico è quindi necessario procedere alla valutazione di stima dell’intero patrimonio dell’imprenditore al momento della stipulazione del patto di famiglia, comprensivo dell’azienda o della partecipazione societaria.
Sulla base di tale stima si calcola il valore della quota riservata ai legittimari e lo si compara a quello del bene produttivo assegnato a un erede.
L’erede assegnatario del bene produttivo deve quindi liquidare gli altri aventi diritto alla successione per un valore corrispondente a quelle che sarebbero le rispettive quote di legittima se al momento della stipulazione del patto di famiglia si aprisse la successione dell’imprenditore. Tale liquidazione può avvenire in denaro o con beni in natura.
In questo modo si realizza l’obiettivo di assicurare il trasferimento dell’azienda/partecipazione sociale e al contempo quello di salvaguardare le aspettative alla successione dei legittimari.
L’assegnazione dei beni con un patto di famiglia è sicura e stabile.
Questi beni, infatti, sono esenti dal procedimento di collazione ereditaria: non è quindi possibile la “riduzione” del lascito all’erede preferito in virtù del patto di famiglia.
La legge, tra l’altro, prevede la possibilità della rinuncia degli eredi non assegnatari dell’azienda a ottenere la liquidazione della loro quota di legittima, in modo da favorire ulteriormente la diffusione del patto di famiglia.
Le difficoltà del patto di famiglia.
Le regole sul patto di famiglia sono – tutto sommato – molto chiare e questo strumento sembrerebbe veramente attrattivo per le imprese a base familiare.
Di patti di famiglia, però, non se ne fanno molti, forse perché lo strumento è poco conosciuto o forse perché vi sono delle difficoltà di ordine pratico e psicologico.
Le difficoltà pratiche sono connesse alla valutazione del bene produttivo e degli altri beni ereditari e all’obbligo di “liquidare” i legittimari che grava sul destinatario del bene produttivo.
Si tratta di difficoltà non insormontabili: il peso dell’obbligo di liquidazione dei legittimari, per esempio, può essere differito nel tempo con una rateazione adeguatamente garantita.
Le difficoltà maggiori sono, a mio parere, quelle di carattere psicologico e sono connesse sia al fatto che l’imprenditore spesso non gradisce cedere il controllo della propria creatura imprenditoriale sia alla difficoltà della designazione, in un contesto familiare, di un erede “preferito” nella trasmissione d’impresa.
Il problema della cessione del controllo può essere superato inserendo nel patto di famiglia una clausola che assicuri all’imprenditore la gestione del bene produttivo trasferito (o la partecipazione a tale gestione) fino al momento del decesso o del ritiro dal lavoro.
Più difficile è la soluzione del problema della designazione di un erede, che può portare a conflitti familiari anche solo se ipotizzata.
Un’ipotesi di soluzione di questo problema potrebbe essere la scelta di un soggetto esterno alla famiglia (magari diverso dal consueto consulente di fiducia) che sia incaricato di selezionare l’erede destinato a continuare l’impresa: si tratterebbe di una sorta di head hunter incaricato di consigliare e guidare la famiglia nel passaggio generazionale.
Questo soggetto potrebbe anche essere incaricato di proporre soluzioni concrete per l’architettura del patto di famiglia e in particolare di individuare forme “creative” di tutela dei legittimari, tali da contemperare il riconoscimento delle loro prerogative con le capacità patrimoniali del successore nell’impresa (una di queste soluzioni potrebbe per esempio essere la liquidazione della quota legittima con la partecipazione agli utili dell’impresa per un certo numero di anni).