Quando i soci pagano i debiti della società… Guida alle società.

Continua la guida alle società.
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I soci responsabili dei debiti della società

I soci delle società di capitali non rispondono mai dei debiti della società di cui fanno parte, salvo un caso particolare, del quale dirò poi.

I soci delle società di persone “semplici” e “in nome collettivo”, invece, rispondono dei debiti sociali in modo molto gravoso, tanto che l’articolo 147 della legge fallimentare prevede che il fallimento della società determini il loro fallimento.

In posizione intermedia si collocano i soci delle società in accomandita (semplice e per azioni).

Nelle accomandite i soci accomandatari rispondono dei debiti sociali: non così gli accomandanti, che rischiano solo il conferimento effettuato in società.

In Italia esistono ancora moltissime società di persone, mentre recenti provvedimenti legislativi (come la legge di bilancio 2017) hanno agevolato sul piano tributario la trasformazione in società semplice delle società immobiliari “di godimento”.

Il tema della responsabilità dei soci delle società di persone (e degli accomandatari) per i debiti della società merita, quindi, di essere affrontato.

Nel farlo ricordo che le società di persone possono essere regolarmente “censite” e pubblicizzate attraverso il Registro delle imprese tenuto dalle Camere di Commercio o possono, invece, essere mere società “di fatto”, ossia organismi societari non registrati la cui esistenza è desumibile dall’esistenza di una “affectio societatis” tra diversi soggetti, che costituiscono un fondo comune intendendo dividersi utili e perdite di un’attività economica.

Soci palesi e soci occulti

Secondo le disposizioni del codice civile, dei debiti della società di persone rispondono tutti i soci illimitatamente responsabili.

In linea di principio l’identità dei soci illimitatamente responsabili è conoscibile da chiunque, semplicemente consultando il Registro delle imprese.

Ci sono, però, anche dei soci illimitatamente responsabili che nel Registro delle imprese non sono proprio iscritti.

Applicando le regole del codice civile e quelle della legge fallimentare (articolo 147) i Tribunali italiani considerano, infatti, come socio e quindi responsabile dei debiti della società anche il socio “occulto”, il cui nominativo non risulta iscritto nel Registro delle imprese.

Il socio occulto viene individuato in tutti i casi in cui un soggetto, pur non partecipando formalmente a una società, di fatto si comporta come se ne fosse socio.

Dalla lettura delle sentenze dei Tribunali emerge un’ampia serie di casi in cui una persona che non faceva parte “ufficialmente” di una società è qualificata come socio “occulto”, con attribuzione della responsabilità illimitata.

I Tribunali seguono, anzitutto, il criterio della ricostruzione storica dell’esistenza di una società, quando siano disponibili dei documenti che la dimostrino.

Di frequente, tuttavia, è impossibile o molto difficile reperire documentazione probatoria e quindi è seguito il criterio della ricostruzione “indiziaria” della qualità di socio occulto.

In base a questo criterio i Tribunali riconoscono la presenza di un socio occulto tutte le volte in cui si possano individuare indizi “gravi, precisi e concordanti” dell’esistenza di una “affectio societatis”, ossia della volontà di essere soci in una determinata attività e di dividerne gli utili dopo avere conferito propri beni (o propria attività) per il raggiungimento dell’obiettivo comune.

Questo avviene, per esempio, nelle situazioni di promiscuità finanziaria e patrimoniale in cui un soggetto:

  • sistematicamente finanzia l’attività di una società o presta garanzie per la medesima;
  • tratta affari per conto della società medesima;
  • si ingerisce nelle decisioni amministrative societarie;
  • rappresenta in generale una società nei rapporti con i terzi.
  • confonde il suo patrimonio con quello di una società

Il riconoscimento della qualità di socio occulto ha conseguenze molto gravose, dato appunto che la legge fallimentare prevede l’automatica “estensione” del fallimento della società ai suoi soci illimitatamente responsabili.

Vi sono, però, molte situazioni “ibride”, nelle quali è difficile tracciare il confine tra la partecipazione “occulta” a una società e il mero sostegno disinteressato a un’attività altrui (come spesso avviene tra persone legate da rapporto familiare).

Vi sono anche molti casi in cui i Tribunali valorizzano la mera “apparenza” dell’esistenza di una società, nonostante gli indizi in proposito siano deboli o contradditori (per una nota sentenza della Cassazione ai fini dell’individuazione del soggetto effettivo titolare del reddito prodotto da una specifica attività economica, l’esistenza di una società di fatto può ben essere desunta da manifestazioni comportamentali rivelatrici di una struttura sovraindividuale indiscutibilmente consociativa, assunte non per una loro autonoma valenza, ma quali elementi apparenti e rivelatori, sulla base di una prova logica, dei fattori essenziali di un rapporto di società).

Il contenzioso esistente in queste situazioni dimostra la complessità e l’incertezza che accompagnano la categoria del “socio occulto”, tanto che la Cassazione ha più volte affermato che «Nel caso in cui il rapporto sociale si intrattenga tra familiari, la valutazione in ordine all’esistenza di una società di fatto deve essere ancora più rigorosa, occorrendo che la prova della esteriorizzazione del vincolo si basi su elementi e circostanze concludenti, tali da escludere che l’intervento del familiare possa essere motivato dall’affectio familiaris».

Il problema della super società di fatto

Una questione molto importante che si sta proponendo da qualche tempo è quello della c.d. super società di fatto (ossia della società d fatto che coinvolge una o più società di capitali).

La società “di fatto” è una società non iscritta nel registro delle imprese e soggetta alle regole proprie delle società di persone: i suoi soci, pertanto, rispondono solidalmente e illimitatamente dei debiti sociali.

Da qualche anno anche il sistema legale italiano ammette esplicitamente (con il riformato articolo 2361 del codice civile) che le società di capitali possano diventare socie delle società di persone.

Possono quindi operare delle società di capitali in cui:

  • i soci sono limitatamente responsabili;
  • la società è, invece, illimitatamente responsabile per le obbligazioni della società di persone cui partecipa.

Partendo da questo presupposto i Tribunali e le Corti italiani riconoscono la possibilità di dichiarare fallite “in estensione” del fallimento di una società di persone anche le società di capitali che ne siano socie.

Nota è la sentenza n. 1095/2016 della Cassazione, che ha affermato il seguente principio: «la partecipazione di una s.r.l. in una società di persone, anche di fatto, è efficace, quale atto gestorio proprio degli amministratori … da ciò discende che può essere dichiarato il fallimento della società di fatto, cui la società di capitali abbia partecipato».

Tale possibilità sussiste sia quando la società di persone è regolarmente costituita e iscritta nel registro delle imprese sia quando si tratta di una società “di fatto”, operante in assenza di regolare iscrizione nel registro delle imprese.

La società di fatto partecipata da società di capitali può, secondo la giurisprudenza, coinvolgere società di capitali e persone fisiche o anche solo società di capitali.

Questa impostazione si è rivelata utile di fronte ai casi, purtroppo frequenti, in cui una persona fisica (o un’altra società) utilizza una società come mero schermo per i propri affari, violando sistematicamente le regole del diritto societario e confondendo il suo patrimonio e i suoi interessi economici con quelli della società dominata.

In queste situazioni diverse sentenze hanno riconosciuto l’esistenza di una “super società di fatto” tra il soggetto “tiranno” e la società sottoposta, arrivando in questo modo a dichiarare falliti entrambi i soggetti in quanto membri di una super società di fatto, con una gestione unitaria della procedura di insolvenza.

Di quali debiti rispondono i soci?

I soci illimitatamente responsabili rispondono di tutti i debiti della società che si sono originati fino alla loro uscita dalla società medesima, anche se non hanno avuto conoscenza e anche se i debiti non derivano da un contratto ma da altra causa (si pensi al caso delle imposte e delle sanzioni tributarie).

Particolarmente importante in proposito è la regola contenuta nell’articolo 2269 del codice civile, per la quale la responsabilità è estesa anche ai debiti sorti prima dell’ingresso del socio in società.

La responsabilità perdura per tutto il tempo in cui il socio fa parte della società e cessa (articolo 2290) nel giorno in cui il socio esce dalla società (per esempio perché recede o cede la sua partecipazione).

Dopo l’uscita dalla società il socio continua a rispondere dei debiti sorti mentre faceva parte del gruppo sociale, anche con scadenza posteriore alla sua uscita.

Un caso particolare è per esempio quello dei debiti portati da cambiali.

Secondo una recente sentenza del Tribunale di Genova il socio uscito da una società risponde del pagamento delle cambiali emesse dalla società prima della sua uscita, anche se i titoli hanno scadenza posteriore.

Cosa vuol dire rispondere solidalmente dei debiti?

La “solidarietà” dei soci illimitatamente responsabili sta a significare che ciascuno di essi può essere chiamato a rispondere con tutto il suo patrimonio di tutti i debiti della società, indipendentemente dalla entità della sua partecipazione sociale.

Il socio che ha pagato, poi, può rivalersi sugli altri soci.

Nei rapporti interni tra soci, però, la responsabilità non è solidale e ciascun socio risponde solo in proporzione alla sua quota di partecipazione alle perdite stabilita nel contratto di società.

L’accomandante “impiccione” e i debiti della società

Un rischio poco considerato dagli “accomandanti” delle società in accomandita semplice è quello di soggiacere a responsabilità per i debiti sociali per essersi “intromessi” nella gestione.

Specie nella società a base familiare capita molto di frequente che i soci accomandanti si occupino della gestione sociale e partecipino alle scelte aziendali.

L’articolo 2320 del codice civile prevede, però, che «i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali».

I casi in cui l’accomandante “impiccione” è chiamato a rispondere dei debiti sociali sono piuttosto frequenti.

Secondo recenti sentenze violano il divieto di immistione e pertanto rispondono dei debiti gli accomandanti che:

  • operino per conto della società con una procura generale;
  • coltivino per conto della società rapporti con Enti Pubblici;
  • si occupino di trattare con i creditori la definizione dei debiti della società;
  • emettano assegni per conto della società.

L’accomandante deve, quindi, considerare bene i rischi connessi alla partecipazione a una società in accomandita e astenersi da qualsiasi ingerenza gestionale.

Il c.d. “beneficio di escussione”

Il rischio dei soci illimitatamente responsabili è mitigato dalla possibilità di richiedere ai creditori insoddisfatti la “preventiva escussione” della società.

La responsabilità di tali soci, infatti, è “sussidiaria” rispetto a quella della società e quindi i creditori sociali, prima di aggredire il patrimonio dei soci, devono cercare di ottenere soddisfazione

In pratica il socio è al riparo dalle azioni dei creditori fino a che non risulti dimostrato che nel patrimonio della società non ci sono beni sufficienti per consentire la soddisfazione dei creditori.

Nella società in nome collettivo e nelle accomandite regolarmente registrare il beneficio di escussione opera automaticamente.

Secondo l’articolo 2304 del codice civile, infatti, “i creditori sociali non possono pretendere il pagamento dai singoli soci se non dopo l’escussione del patrimonio sociale

Questa norma può rappresentare una tutela per i soci, anche perché si riscontrano sentenze favorevoli alla loro posizione, come una decisione della Cassazione per la quale il fallimento della società non è di per se stesso prova della insufficienza del patrimonio sociale per la soddisfazione dei creditori.

Nelle società semplici e in nome collettivo non registrate il beneficio di escussione ha invece un’intensità minore perché il socio deve, per poter validamente eccepire tale beneficio, indicare ai creditori dei beni della società sui quali possano agevolmente soddisfarsi.

Nelle registrare il beneficio di escussione può rappresentare una buona tutela per i soci, dato che

Il caso particolare dell’unico socio di società di capitali

Anche nelle società di capitali si presenta un caso, più teorico che concreto, in cui il socio può essere chiamato a rispondere dei debiti della società.

Si tratta del caso un cui la s.r.l. o la s.p.a. hanno un unico socio.

In tale ipotesi (per gli articoli 2325 e 2462 del codice civile) il socio risponde di tutti i debiti sorti nel periodo in cui non vi erano altri soci a meno che non si verifichino due condizioni:

  • i conferimenti sono stati effettuati interamente;
  • l’esistenza di un unico socio sia stata resa pubblica mediante pubblicità nel registro delle Imprese nelle forme di legge

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