Nei contratti di impresa, specie quelli di maggior valore, si pone sempre il problema della riscossione dei crediti.
Per abitudine delle imprese di solito si presta poca attenzione alla garanzia, che è invece molto importante soprattutto nei rapporti di lunga durata, nel corso dei quali la condizione economica del debitore può cambiare.
Il vantaggio della garanzia è questo: essa consente al creditore di vedersi attribuito, con preferenza rispetto agli altri creditori, il valore del bene oggetto della garanzia nel caso in cui il debitore non paghi il dovuto.
Spesso si confonde il concetto di garanzia con quello di “titolo esecutivo”.
Titolo esecutivo e garanzia.
Il “titolo esecutivo” è un atto (per esempio una cambiale, un assegno, un riconoscimento di debito autenticato da Notaio) che consente al creditore di attaccare i beni del debitore senza dilazioni e senza necessità di intervento del Tribunale: per approfondimenti si veda il glossario.
Il titolo esecutivo, però, non attribuisce al creditore alcuna preferenza rispetto agli altri creditori (anche perché, sempre pensando alla cambiale, non c’è un limite al numero di cambiali che il debitore può emettere).
Spesso, quindi, il vantaggio dato dalla disponibilità di un titolo esecutivo è illusorio.
La “garanzia” dà al creditore qualcosa in più del titolo esecutivo, ossia la sicurezza di poter contare su uno specifico bene del debitore per la soddisfazione del suo credito.
Quando si negozia un contratto si può quindi ottenere dalla parte che sarà debitrice di concedere un bene in garanzia o di offrire in garanzia il bene di una terza persona, come il coniuge o un parente.
Ovviamente non sempre il debitore è disponibile a rilasciare una garanzia: questo, però, può portare a differenziare le condizioni contrattuali a seconda che il debitore offra o meno una garanzia (senza la quale potrebbe essere necessario applicare condizioni diverse, per esempio in tema di interessi di dilazione).
Il patto commissorio e la clausola “marciana”.
Il modo più veloce ed efficace per ottenere garanzia su un bene del debitore sembrerebbe essere quello di imporre al debitore stesso il trasferimento in proprietà di un suo bene (o la promessa di trasferimento di un bene), con l’impegno del creditore a ritrasferirne la proprietà al momento dell’adempimento (in parole semplici: «se paghi ti restituisco il bene, altrimenti me lo tengo ….»).
Questo tipo di accordo, definito tecnicamente “patto commissorio”, è, però, mal visto dal sistema legale, perché può risolversi un’indebita pressione del creditore verso il debitore per il trasferimento di un bene di valore molto superiore al credito.
Il codice civile (articolo 2744) stabilisce quindi che “è nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza di pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa… passi al creditore“
Il trasferimento di un bene a scopo di garanzia è, però, valido e ammissibile se accompagnato dalla c.d. “clausola marciana”, patto per il quale il creditore non soddisfatto può sì diventare proprietario del bene, ma con l’obbligo di versare la differenza tra l’importo del credito e il valore del bene come stimato dopo l’inadempimento del debitore.
La questione è stata affrontata da ultimo nella nota sentenza della Cassazione Civile n. 1625 del 2015
Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625
La clausola marciana deve prevedere per il caso ed al momento dell’inadempimento, ossia quando si attuerà coattivamente la pretesa creditoria (art. 1851 c.c.), un procedimento volto alla stima del bene, entro tempi certi e con modalità definite, che assicurino la presenza di una valutazione imparziale, in quanto ancorata a parametri oggettivi automatici, oppure affidata a persona indipendente ed esperta, la quale a detti parametri farà riferimento (art. 1349 c.c.), al fine della corretta determinazione … della eventuale differenza da corrispondere all’utilizzatore. La pratica degli affari potrà poi prevedere diverse modalità concrete di stima, purché siano rispettati detti requisiti. L’essenziale è che dalla struttura del patto risulti che le parti abbiano in anticipo previsto che, nella sostanza dell’operazione economica, il debitore perderà eventualmente la proprietà del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell’inadempimento, perché il surplus gli sarà senz’altro restituito.
Il pegno e l’ipoteca
Date le complessità, i costi (per esempio per tassa di registro) e le diffidenze connessi al trasferimento in garanzia di un bene il sistema di garanzia più utilizzato è la costituzione su di un bene del debitore e di un terzo di un particolare diritto “reale” (ossia inerente il bene), definito:
- pegno per i beni mobili (come le derrate alimentari o le quote di società);
- ipoteca per i beni immobili e i beni iscritti in pubblici registri (come le automobili).
Il pegno e l’ipoteca danno al creditore due diritti, fondamentali per la tutela del credito: il diritto di sequela e il diritto di prelazione.
Per effetto del diritto di sequela il creditore può soddisfarsi sulla cosa anche se è stata trasferita a terzi (in questo senso la garanzia è “reale”, ossia riferita a una cosa).
Per effetto del diritto di prelazione il creditore può soddisfarsi sul bene con preferenza rispetto agli altri creditori.
Per ovvie esigenze di garanzia di tutti gli interessati il pegno e l’ipoteca sono validi ed efficaci solo se sono rispettate particolari formalità.
L’ipoteca, quindi, deve risultare da atto scritto autenticato da Notaio ed essere iscritta nel Pubblico Registro nel quale è inserito il bene dato in garanzia (per esempio il registro immobiliare o quello aeronautico).
Per il pegno di cosa mobile occorre che l’oggetto della garanzia sia consegnato al creditore o a un terzo di comune fiducia e che il diritto di prelazione risulta da un atto scritto dotato di data certa che contenga una descrizione sufficiente del credito e della cosa.
La costituzione di pegno su azioni o quote di società deve, poi, rispettare le particolari forme previste dalla legge.
Qualche esempio può essere utile:
- il credito dell’appaltatore per lavori di ristrutturazione di un immobile può essere garantito da ipoteca su quel bene o su altri immobili del committente;
- il finanziamento di un terzo a una società può essere garantito dai soci di tale società concedendo pegno sulle loro partecipazioni sociali;
- un prestito può essere garantito da pegno su strumenti finanziari o su preziosi;
- nella prassi bancaria è frequente il “pegno rotativo” avente a oggetto strumenti finanziari (come le obbligazioni o le quote di fondi comuni) già individuati e altri strumenti finanziari nei quali sia reinvestito il ricavato dei primi strumenti costituiti in pegno alla loro scadenza.
Una nuova garanzia (forse) possibile fra poco. Il pegno non possessorio
L’articolo 1, commi da 1º a 10º-bis, del decreto legge 59/2016, convertito con legge 30 giugno 2016, n. 119 ha introdotto un nuovo strumento di garanzia riservato alle imprese, caratterizzato dal fatto che per la costituzione, la validità e l’efficacia della garanzia non è necessaria la consegna al creditore del bene oggetto del diritto di prelazione.
Il pegno “non possessorio” può essere costituito solo da soggetti che siano imprenditori, anche individuali, iscritti nel registro delle imprese.
I crediti garantiti debbono essere inerenti l’esercizio dell’impresa (e quindi non derivare da impegni personali e familiari dell’imprenditore. Si può trattare per esempio di crediti derivanti dall’emissione di c.d. “minibond” come già accaduto, in applicazione della l. n. 122 del 2001, per il Parmigiano Reggiano (una società cooperativa ha emesso mini bond per 6 milioni di euro la cui garanzia è costituita dalle forme di formaggio e ciò però in forza di una particolare disciplina relativa al settore alimentare).
Il pegno in questione può essere costituito su beni mobili anche immateriali, destinati all’esercizio dell’impresa e sui crediti derivanti da o inerenti a tale esercizio, a esclusione dei beni mobili registrati. I beni mobili possono essere esistenti o futuri, determinati o determinabili anche mediante riferimento a una o più categorie merceologiche o a un valore complessivo.
Il pegno non possessorio è “rotativo”, ossia il debitore o il terzo concedente il pegno è autorizzato a trasformare o alienare, nel rispetto della loro destinazione economica, o comunque a disporre dei beni gravati da pegno. In tal caso il pegno si trasferisce, rispettivamente, al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che ciò comporti costituzione di una nuova garanzia.
Il pegno non possessorio ha effetto verso i terzi esclusivamente con la iscrizione in un registro informatizzato costituito presso l’Agenzia delle entrate e denominato «registro dei pegni non possessori».
La disciplina del pegno non possessorio non è effettivamente ancora applicabile, dato che il registro presso l’Agenzia delle Entrate non è ancora stato istituito.
È però bene tenere presente il nuovo istituto, preparandosi per la sua effettiva attuazione.