Un problema molto sentito e “sofferto” nella vita di ogni società è quello della responsabilità degli amministratori, che non sempre svolgono le loro funzioni con diligenza e nel rispetto delle leggi.
Il problema si pone da diversi punti di vista secondo il soggetto che può essere leso dal comportamento degli amministratori.
C’è il punto di vista della società, quello dei soci, quello dei creditori sociali e quello dei terzi che – a vario titolo – siano venuti in contatto con la società.
Molto importante è poi, ovviamente il punto di vista delle Istituzioni Pubbliche, che sono chiamate a vigilare su reati – o violazioni di tipo amministrativo – eventualmente commessi dagli amministratori e a esercitare poteri repressivi, quando necessario.
Considerando il tema della responsabilità dal punto di vista della società è evidente che ogni atto degli amministratori può portare alla società stessa un vantaggio o uno svantaggio.
Dal punto di vista dei soci le azioni e le omissioni degli amministratori determinano, quale ovvia conseguenza, la riduzione o l’aumento del valore della partecipazione sociale, che è proporzionale alla consistenza patrimoniale e ai risultati della gestione della società.
Gli atti e le mancanze degli amministratori hanno, poi, un riflesso anche sui creditori della società.
Costoro, infatti, devono poter confidare che un’efficiente e accorta gestione garantisca il benessere finanziario e quindi il pagamento dei debiti della società: se, infatti, gli amministratori distolgono o dilapidano il patrimonio sociale, i creditori perdono la possibilità di essere soddisfatti.
Sotto altro punto di vista il comportamento di chi amministra una società può danneggiare (o favorire) anche altri soggetti, diversi dallo Stato, dalla società stessa, dai soci e dai suoi creditori: si pensi, per esempio, a chi acquista le azioni della società stessa o ne sottoscrive un aumento di capitale perché a ciò indotto da un bilancio non corretto.
Il quadro è talmente complesso che gli amministratori di società e chi opera nel mondo dell’impresa devono avere ben chiaro quale sia il regime della responsabilità amministrativa.
Qui di seguito propongo qualche spunto in proposito, senza pretendere di essere completo e, soprattutto, per suscitare la discussione con chi segue il blog.
La prima questione da considerare è quella della responsabilità degli amministratori nei confronti dello Stato e delle Pubbliche Amministrazioni.
La responsabilità per i reati commessi dagli amministratori di società nell’esercizio delle loro funzioni tradizionalmente compete sempre e solo a loro e mai alla società, che, come dicono i giuristi, “delinquere non potest”, non essendo una persona fisica.
In caso di reato commesso dagli amministratori, la società è però corresponsabile (insieme agli amministratori) per il risarcimento del danno cagionato dagli amministratori stessi a terzi per effetto della commissione del reato.
Solo per determinati e gravi tipi di reato, come quelli ambientali, la legge (decreto legislativo 231/2001) prevede da qualche anno che anche alla società sia inflitte una sanzione “penal-amministrativa” (obbligo di pagare somme di denaro confische, interdizioni), da scontare in aggiunta al risarcimento del danno.
Quando, invece, gli amministratori commettono una violazione di legge punita con sanzione amministrativa, la sanzione è applicabile in via principale agli amministratori e la società ne risponde in solido. Fanno eccezione solo le sanzioni per la violazione delle leggi tributarie, che sono limitate a un tetto massimo di 50.000,00 Euro (v. l’articolo 11 del decreto legislativo n. 472 del 1997) per agli amministratori che non abbiano tratto profitto dalla violazione di legge e abbiano agito senza dolo o colpa grave.
Fin qui la responsabilità verso Stato ed Enti Pubblici.
Venendo alla responsabilità degli amministratori verso la società ricordo che in proposito esiste un complesso di regole operative contenute nel codice civile.
Si tratta di regole per la verità piuttosto frammentarie e non sempre complete.
La normativa più completa è quella sulla responsabilità degli amministratori di s.p.a., mentre per gli amministratori delle s.r.l. e delle società di persone le previsioni del codice, molto scarne, sono state nel tempo integrate da importanti sentenze, anche recenti.
La società può e deve pretendere che gli amministratori svolgano il loro compito con la “diligenza del buon padre di famiglia” (come previsto dall’articolo 1176 del codice civile per tutti coloro che abbiano assunto un obbligo contrattuale) e comunque con la diligenza “richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze” (come recita il successivo articolo 2392).
Se gli amministratori violano la regola di diligenza, essi devono risarcire il danno sofferto dalla società.
Questo principio non comporta, però, l’obbligo degli amministratori di risarcire alla società le perdite di bilancio, perché la gestione di un’impresa è attività di se stessa talmente incerta da comprendere, come evento fisiologico, il verificarsi di perdite.
Il dovere di risarcimento sussiste quindi solo quando gli amministratori abbiano agito in maniera negligente o imprudente, senza le necessarie attività di verifica e previsione e senza rispettare le regole tecnico-economiche del caso.
In questa prospettiva, per esempio, la società non può imputare al suo amministratore le perdite derivanti dall’insolvenza della clientela, purché, però, l’amministratore dimostri di avere scelto secondo corretti criteri e con i controlli del caso i clienti ai quali fare credito.
Allo stesso modo la società non può chiedere di essere risarcita per le diseconomie dovute all’inefficienza degli impianti, se l’amministratore dimostra di avere seguito, nell’organizzare gli impianti medesimi, indicazioni tecniche aggiornate.
Quest’ orientamento è stato ben riassunto in una sentenza della Cassazione del febbraio 2015 (la numero 1783) per la quale «In tema di responsabilità degli amministratori verso la società, il giudizio sulla violazione del generale obbligo di diligenza, cui l’amministratore deve attenersi nell’adempimento dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, non può tradursi nella valutazione dell’opportunità economica delle scelte di gestione operate dall’amministratore, ma deve riguardare il modo in cui esse sono compiute. Ne consegue che la responsabilità dell’amministratore può essere generata, ai sensi dell’art. 2392, comma 1, c.c., dall’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste prima di procedere a quel tipo di scelta».
Vediamo ora la responsabilità degli amministratori dal punto di vista dei soci.
Contrariamente a quello che molti ritengono, il nostro sistema legale non prevede una responsabilità degli amministratori verso i soci per la diminuzione del valore della partecipazione sociale.
I Giudici, infatti, affermano costantemente che i soci non sono danneggiati in maniera diretta dai comportamenti degli amministratori anche quando ne sia derivato un danno alla società, perché «il capitale è un bene della società e non dei soci, i quali dalle perdite subiscono soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione di valore della propria partecipazione» (questo principio è stato di recente riaffermato dalla sentenza della Cassazione n 22573 del 23 ottobre 2014).
Un socio, quindi, può agire contro gli amministratori solo quando il secondo gli abbia arrecato un danno di carattere diretto, come poi dirò.
Vedendo alla responsabilità degli amministratori dal punto di vista dei creditori della società va rilevato che costoro non rispondono mai direttamente dei debiti della società stessa (salvo che non ne siano anche soci illimitatamente responsabili).
Società e amministratori sono soggetti distinti e, quindi, non è per esempio possibile che un creditore insoddisfatto chieda all’amministratore di saldare le fatture arretrate.
Allo stesso modo (a parte i profili di responsabilità penale o amministrativa) la collettività danneggiata dall’inquinamento ambientale prodotto dagli impianti di una società non può chiamare in giudizio personalmente gli amministratori perché siano condannati a pagare i costi della bonifica.
Non esiste, quindi, una responsabilità generale degli amministratori verso chi ha crediti verso la società da essi amministrata.
Il sistema legale (come risulta dalla legge e dalle sentenze) prevede, però, che gli amministratori siano tenuti a risarcire i creditori per il danno da essi sofferto per l’inosservanza da parte degli amministratori “degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale: la relativa azione in giudizio può essere proposta dai creditori sociali solo quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.
Per terminare il quadro va ricordato che sugli amministratori di società grava un altro tipo di responsabilità.
Si tratta della responsabilità verso singoli soci o singoli terzi estranei alla sfera sociale danneggiati dagli amministratori senza che vi sia stato danno per il patrimonio sociale (si veda l’articolo 2395 c.c.)
Si citano come esempi di tale responsabilità il caso in cui gli amministratori abbiano indotto un terzo a contrattare con la società sulla base di dichiarazioni false o incomplete o di bilanci falsi (caso deciso dalla Cassazione 8 settembre 2015, n. 17794)o il caso in cui gli amministratori inducano un socio a sottoscrivere l’aumento del capitale nascondendogli le perdite.
Nelle società di persone, da ultimo, la Cassazione ha individuato questa responsabilità nel caso in cui gli amministratori abbiano intenzionalmente ritardato la formazione del rendiconto per non consentire ai soci di pretendere la distribuzione degli utili.
Mi riferisco a Cass. 25 gennaio 2016, n. 1261, per la quale «Nelle società di persone, se l’amministratore non presenta il rendiconto il socio – diversamente da quanto accade nelle società di capitali, ove occorre una delibera assembleare che ne autorizzi la distribuzione – non percepisce gli utili, subendo così, in via diretta ed immediata, un danno che, come tale, può invocare agendo per far valere la responsabilità extracontrattuale dell’organo amministrativo, ai sensi dell’art. 2395 c.c., ivi applicabile analogicamente, atteso che la società personale, ancorché priva di autonoma personalità giuridica, costituisce un centro di imputazione di situazioni giuridiche distinte da quelle dei soci, sicché, anche con riguardo ad essa, è configurabile una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società, alla stregua di quanto previsto in materia di società per azioni».
La panoramica sulle responsabilità degli amministratori deve essere conclusa con un’osservazione molto pratica ma, a mio parere, molto utile.
Le responsabilità “privata” degli amministratori verso la società, i creditori e i soci/terzi individualmente danneggiati è, appunto, una responsabilità “privata”.
Questo vuol dire che gli oneri e l’impegno necessari per promuovere la necessaria causa civile sono a carico di chi la inizia.
Capita veramente di rado che la causa sia promossa dalla società (dato che normalmente gli amministratori sono “vicini” ai soci di maggioranza che determinano le scelte della società).
Di solito, quindi, della causa devono farsi carico i singoli soci (che la legge legittima – a certe condizioni – ad agire per conto della società) o, se ne è il caso, i creditori o i danneggiati “individuali”.
Tenendo conto di tempi, costi e impegno connessi a una causa è- quindi – consigliabile vigilare perché gli amministratori non commettano atti dannosi.
Talvolta, infatti, gli amministratori si rivelano privi di un patrimonio aggredibile tale da giustificare una causa nei loro confronti, così che, viste le spese di causa, a danno si aggiunge danno (in ogni caso, se si vuole promuovere un’azione di responsabilità è essenziale chiedere al Tribunale il sequestro conservativo dei beni dell’amministratore convenuto, per garantire l’esecuzione della sentenza).