Spesso gli amministratori di società sono chiamati a rispondere – in sede civile o penale – di atti dannosi per la società da essi amministrata compiuti nell’interesse della società capogruppo o di altre società del gruppo del quale la società fa parte.
Questi atti possono consistere, per esempio, in:
- finanziamenti senza corrispettivo di mercato:
- prestazione di garanzie
- conclusione di contratti a condizioni non vantaggiose
- messa a disposizione di beni e servizi senza adeguato corrispettivo (si pensi al caso in cui una società “presta” uffici o laboratori ad altre società del gruppo senza percepire un canone di mercato).
In sede civile gli amministratori possono essere chiamati al risarcimento del danno causato da questo genere di atti, sulla base delle regole generali in tema di responsabilità degli amministratori (articolo 2393 del Codice Civile per le s.p.a. e articolo 2476 per le s.r.l.) e di sanzione del conflitto di interessi degli stessi.
L’azione civile è spesso proposta dopo il fallimento della società a iniziativa del curatore fallimentare e spesso coinvolge gli Organi di controllo della società ai quali viene imputata l’omissione dei doverosi controlli.
Quello che viene loro imputato è – infatti – di avere agito non nell’interesse della società che amministravano ma nell’interesse di un’altra società: spesso la capogruppo e talvolta altra società del gruppo.
In sede penale – invece – sì configura anzitutto il reato di infedeltà patrimoniale previsto e punito dell’articolo 2634 del codice civile, norma per la quale
“Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
Sempre in sede penale si può configurare il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, previsto e punito dall’articolo 223 della legge fallimentare.
Si tratta di casi molto frequenti, nei quali la difesa degli amministratori richiama sempre le regole del codice civile che fanno riferimento ai “vantaggi compensativi” nei gruppi di società, ossia all’ipotesi in cui un atto dannoso per la società che fa parte di un gruppo possa essere giustificato dai vantaggi che derivano dall’appartenenza al gruppo.
Le nome in questione sono l’articolo 2497 e il (già citato) articolo 2643.
L’articolo 2497 del Codice stabilisce che:
- il soggetto che esercita un’attività di direzione e coordinamento su altra società deve agire secondo principi di corretta gestione imprenditoriale della società diretta:
- se non provvede in questo senso deve risarcire il danno causato a meno che non dimostri che il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni dirette a questo scopo .
Il successivo articolo 2634 stabilisce – poi – che:
in ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo.
A prima vista le norma ora richiamate sembrerebbero offrire agli amministratori una importante e preziosa difesa: richiamando il fatto che la società opera all’interno di un gruppo sembrerebbe possibile ottenere una giustificazione per atti dannosi.
Esaminando le sentenze relative al tema degli atti dannosi per la società ma favorevoli per il gruppo si nota – però – che molto spesso le difese degli amministratori non hanno successo
Il richiamo di un “vantaggio compensativo” derivane dall’appartenenza della società amministrata a un gruppo non vale, infatti, a evitare la condanna in sede civile o penale.
L’insuccesso dell’eccezione relativa ai “vantaggi compensativi” deriva dal fatto che molto di frequente gli amministratori si limitano a difendersi osservando – genericamente – che l’appartenenza al gruppo portava alla società delle opportunità favorevoli in termini di chance di affari o che nel complesso Il risultato della appartenenza al gruppo è stato positivo.
Secondo la giurisprudenza una simile difesa non è sufficiente.
Per orientamento costante, infatti, per escludere la natura distrattiva di un’operazione infragruppo invocando l’esistenza di “vantaggi compensativi”, non è sufficiente allegare la mera partecipazione al gruppo, ovvero l’esistenza di un generico vantaggio per la società
È, invece, necessario dimostrare che esiste un “saldo finale positivo” delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo.
E poiché di solito gli amministratori sono chiamati a rispondere del loro operato prima che la partecipazione della società a un gruppo abbia portato dei vantaggi superiori agli svantaggi si richiede che essi dimostrino, difendendosi, che esisteva la concreta e fondata prevedibilità di benefici per la società apparentemente danneggiata dall’operazione “temporaneamente svantaggiosa”.
Si veda in proposito, da ultimo, la decisione della Cassazione Penale del 27 febbraio 2020, n.13284
In sede civile si veda per esempio la decisione della Cassazione n. 16707 del 24 aprile 2004
In questa sentenza la Corte ha precisato quanto segue:
“In tema di responsabilità degli amministratori di società di capitali verso la società stessa, appartenente ad un gruppo societario, ha rilievo (anche a prescindere dal testo dell’art. 2497 c.c. come novellato dall’art. 5 d.lg. 17 gennaio 2003 n. 6) la considerazione dei cosiddetti vantaggi compensativi derivanti dall’operato dell’amministratore, riflettentisi sulla società in conseguenza della sua appartenenza al gruppo e idonei a neutralizzare, in tutto o in parte, il pregiudizio cagionato direttamente alla società amministrata; tuttavia non è sufficiente, al fine di escludere corrispondentemente la responsabilità, la mera ipotesi della sussistenza dei detti vantaggi, ma l’amministratore ha l’onere di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta”.
Si deve quindi ritenere, in conclusione, che nel corso della propria attività gli amministratori delle società appartenenti a un gruppo debbano porre particolare attenzione nella valutazione delle decisioni aziendali che coinvolgano il gruppo e preoccuparsi in particolare di documentare (per esempio con relazioni tecnico- contabili o stime econometriche) il prevedibile effetto complessivo di tali decisioni.