Cosa succede se non si adempie un contratto preliminare?

Come noto, nel nostro sistema legale tutti i contratti sono vincolanti e non esistono (se non casi eccezionali o in particolari situazioni) possibilità di non adempiere un contratto che si è liberamente sottoscritto (tra questi casi eccezionali vi sono quelli regolati dal settore del diritto dedicato alla protezione di categorie “deboli”, come i consumatori o le microimprese).

Il caso del contratto preliminare

Un caso da considerare è quello del contratto preliminare, ossia dell’accordo con il quale due o più  parti assumono l’impegno di stipulare, in futuro, un ulteriore contratto già determinato, quanto meno in tutti i suoi elementi essenziali: un esempio tipico e ben conosciuto è quello del contratto preliminare per la cessione di immobile, che precede di mesi (o – talvolta – di anni) il c.d. “rogito” definitivo.

Proprio la distanza temporale tra la data di sottoscrizione del preliminare e quella prevista per la firma del contratto definitivo può comportare l’inadempimento di una parte:  può trattarsi del promittente venditore o del promissario acquirente.

Perché l’inadempimento del preliminare.

La parte che ha sottoscritto un contratto preliminare può rendersi inadempiente per vari motivi.

Sotto un profilo l’inadempimento può derivare da una scelta volontaria.

Le situazioni concrete possono essere molte.

Si pensi al caso in cui il promissario acquirente decide di non acquistare il bene perchè ha trovato un’opportunità migliore o al caso – opposto – in cui il promittente venditore sceglie di non cedere quanto promesso perché lo vuole utilizzare direttamente o ne vuole trarre reddito.

Si pensi anche alla situazione in cui il venditore non è in grado di assicurare la consegna di un bene avente le qualità promesse: vi sono, per esempio, frequenti casi in cui è promessa la vendita di un immobile abusivo o privo in radice dei requisiti per l’ottenimento dell’agibilità.

Sotto altro profilo l’inadempimento può derivare da eventi indipendenti dalla volontà delle parti.

Questo può accadere, per esempio, quando il bene promesso in vendita è espropriato dalla Pubblica Autorità o quando il promittente venditore è colpito da un divieto legale di acquisto di determinati beni o quando i beni oggetto del preliminare divengono non commerciabili perché mutano le norme relative (si pensi al caso dei medicinali o a quello dei presidi sanitari).

Le conseguenze dell’inadempimento del preliminare. Il risarcimento del danno.

Nel caso in cui l’inadempimento del preliminare non è dovuto ad atto volontario delle parti il contratto, semplicemente, cessa di avere effetto: le parti stesse sono liberate dai loro obblighi ed eventuali acconti devono essere restituiti (se il promissario acquirente aveva ricevuto la consegna anticipata del bene deve, ovviamente, restituirlo).

Se, invece, l’inadempimento è dovuto ad atto volontario delle parti si applica la regola generale contenuta nell’articolo 1218 del codice civile, il quale stabilisce che la parte che non adempie agli obblighi contenuti in un contratto  è tenuta al risarcimento del danno.

Sempre come da regola generale (articolo 1223 del codice civile), il risarcimento deve comprendere sia la perdita subita sia il mancato guadagno (la terminologia legale usa le espressioni “danno emergente” e “lucro cessante).

Come si calcola il risarcimento?

Per il calcolo del risarcimento occorre tenere conto di quanto afferma la giurisprudenza.

Sul tema  ci sono, infatti, molte sentenze e si sono formati orientamenti consolidati.

La regola generale è che in caso di inadempimento la parte danneggiata deve trovarsi in una situazione identica a quella in cui si sarebbe trovata se l’inadempimento non ci fosse stato. L’inadempimento, quindi, non deve “incidere” negativamente sul suo patrimonio.

La parte inadempiente è tenuta al risarcimento.

Il danno dovuto all’acquirente

Secondo la giurisprudenza se a essere inadempiente è il venditore il risarcimento dovuto al promissario acquirente deve essere calcolato in misura pari alla differenza tra il valore commerciale dell’immobile al momento in cui l’inadempimento è diventato definitivo (normalmente quello di inizio della causa  e il prezzo pattuito, oltre alla rivalutazione monetaria eventualmente verificatasi nelle more del giudizio.

È possibile, naturalmente, chiedere il risarcimento di danni ulteriori, a condizione che siano provati.

Il risarcimento dovuto al venditore

Se, invece, a essere inadempiente è l’acquirente, secondo la giurisprudenza il risarcimento dovuto al venditore deve essere calcolato in misura pari alla differenza tra il valore commerciale del bene al momento della liquidazione e il prezzo offerto dal promissario acquirente rivalutato al medesimo tempo

La Cassazione Civile (sentenza n. 26042 del 2020) aggiunge che nel calcolo del risarcimento si può tenere conto anche di circostanze future, che possano determinare un incremento o una riduzione del pregiudizio, a condizione che esse provate e appaiano ragionevolmente prevedibili e non meramente ipotizzate.

Anche in questo caso è possibile, naturalmente, chiedere il risarcimento di danni ulteriori, a condizione che siano provati.

E i danni morali?

Chi aspirava a comprare la casa dei suoi sogni e ha visto deluse le sue aspettative per il “tradimento” del promittente venditore (che  ha venduto ad altri o ha subito un pignoramento e non può più vendere) è comprensibilmente irritato e vorrebbe un risarcimento maggiore rispetto al mero danno patrimoniale, che in effetti potrebbe essere in concreto inesistente o molto ridotto.

Questo risarcimento, però, non può purtroppo essere ottenuto facilmente

La giurisprudenza della Cassazione stabilisce, infatti, che:

Va escluso il risarcimento del danno non patrimoniale, derivante da inadempimento …. (… di)  preliminare di vendita di un bene immobile, laddove non sia fornita la prova che il disagio derivante dalla situazione di incertezza a seguito dell’inadempimento sia stato di tale afflittività da costituire un pregiudizio per la salute o per altro diritto costituzionalmente. Si veda la decisione della Cassazione Civile n. 19101 del 2018.

Ricordo che il Tribunale di Tivoli aveva invece affermato, nella sentenza n. 258 del 2012, che:

nell’ipotesi di risoluzione del contratto preliminare per causa imputabile esclusivamente al promissario acquirente, il promittente venditore ha diritto, oltre al risarcimento del danno patrimoniale, al risarcimento del danno non patrimoniale di natura esistenziale, derivante dall’impossibilità – in mancanza di stipula del contratto definitivo – di realizzare il proprio progetto di vita abitativa.

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