La penale nei contratti. Come difendersi?

Se l’inquilino non restituisce l’immobile entro il mese stabilito dovrà pagare 10.000 euro di penale …. L’impresa è tenuta a versare la somma di 100.000,00= euro se non completa il cantiere entro la fine dell’anno ...”.
Nei contratti sono molto frequenti le clausole penali, ossia i patti con i quali si prevede che la parte inadempiente è tenuta a versare all’altra parte una determinata somma di denaro (o comunque a eseguire una prestazione) a titolo di risarcimento del danno e di “punizione” privata.
Quando si firma un contratto spesso non si fa caso alla clausola relativa alla penale: alla prova dei fatti, però, la penale può rivelarsi veramente molto onerosa.
In questo post vediamo come difendersi dalla pretesa del creditore di vedere adempiuto questo tipo di clausola.

Gli eredi ereditano i debiti?

Opera di Franz Schams

Negli ultimi mesi ho ricevuto almeno dieci mail con la seguente domanda: è purtroppo mancato un mio genitore che era imprenditore e aveva diversi debiti. Vorrei accettare l’eredità, ma ho paura di … ereditare dei debiti.

Le richieste sono state talmente tante che mi sono deciso a scrivere un post sull’argomento. Preciso subito che sì, chi eredita succede nell’intera posizione patrimoniale del defunto e quindi fa propri anche i suoi debiti.

E’ possibile , però, adottare alcune cautele per evitare di correre troppi rischi. Qui di seguito ne parlo.

In base agli articoli 752 e 754 del codice civile gli eredi rispondono dei debiti e dei pesi ereditari in proporzione di quanto hanno ricevuto dall’eredità: la responsabilità è riferita all’intero patrimonio dell’erede e quindi non solo al valore di quanto ricevuto.
In altre parole: ogni coerede risponde di una quota ideale del debito ereditario pari alla quota ideale dell’eredità ricevuta, anche se tale quota ha valore inferiore all’ammontare proporzionale dei debiti.
L’articolo 754 precisa – però – che il coerede che abbia ricevuto un bene ipotecato risponde per l’intero del debito garantito da ipoteca, stante il principio generale della indivisibilità della ipoteca (salva rivalsa sugli altri coeredi).
In materia tributaria la responsabilità è più severa, dato che l’articolo 65 del D.P.R. 600 del 1973 stabilisce che gli eredi rispondono i solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte“: ciascun erede risponde pertanto per l’intero, indipendentemente dal valore della quota ereditaria ricevuta
L’accettazione dell’eredità
Il momento a partire dal quale gli eredi rispondono del pagamento dei debiti ereditari e quello della accettazione dell’eredità.
Va però considerato che vi sono dei casi in cui la legge stabilisce una presunzione di accettazione delle eredità.
Per l’articolo 486 del codice civile si ha “accettazione tacita” quando “il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”: si potrà trattare, per esempio di un’azione in giudizio per la divisione del patrimonio ereditario, oppure della riscossione di crediti del defunto o – ancora – della voltura catastale di beni immobili ereditari.
Come evitare la responsabilità per i debiti ereditari?
Se si teme che l’eredità comporti l’assunzione di debiti eccedenti quanto ricevuto in successione esiste la possibilità – estrema – della rinuncia all’eredità o la soluzione  – più prudente – della accettazione con beneficio di inventario regolata principalmente dall’articolo 490 del codice civile.
L’effetto del “beneficio di inventario” è quello di “tener distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede”, in modo che:
  • l’erede conserva verso la eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte;
  • l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti
    In questo modo l’erede è tenuto a pagare i debiti del defunto solo entro il valore attivo dell’eredità, senza esporre a rischio i suoi beni.
Perché l’accettazione sia è efficace è, però, necessario fare tempestivamente l’inventario dell’eredità, con l’intervento di un notaio oppure di un cancelliere del Tribunale.
Il chiamato all’eredità in possesso dei beni ereditari deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o da quando ha avuto notizia della devoluta eredità, salvo eccezionale proroga.
Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice.
Il chiamato all’eredità che non è nel possesso di beni ereditari, può – invece – fare la dichiarazione di accettare col beneficio d’inventario fino a che il diritto di accettare non è prescritto

 

Come proteggersi in caso di concordato del debitore?

Con il concordato il debitore    … paga meno

Come noto, quando la società debitrice è ammessa a concordato preventivo la percentuale di soddisfazione dei creditori è veramente molto ridotta. Per evitare danni eccessivi i singoli creditori possono seguire la strada della richiesta di risarcimento del danno agli amministratori della

società sottoposta a concordato preventivo.

Questa possibilità è stata riconosciuta da recenti importanti sentenze e – in modo esplicito – dall’articolo 115 del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Nelle S.R.L. i soci possono convocare l’assemblea?

In un’epoca in cui si è abituati a contatti veloci e virtuali tramite mail o chat, secondo il codice civile le decisioni dei soci delle s.r.l. devono ancora seguire una procedura formalizzata che pare urtare contro le esigenze di celerità e di efficienza ma che la legge tuttora ritiene fondamentale garanzia di regolarità (in effetti sarebbe molto complesso ricostruire un processo decisionale che sia svolto in modo del tutto informale tramite una chat o strumento simile).

Un recente importante orientamento giurisprudenziale afferma però che nelle s.r.l. i soci possono – a certe condizioni – “autoconvocare” l’assemblea anche se gli amministratori rifiutano di farlo.

Il principio è importante, perché talvolta nelle s.r.l. i soci non riescono a ottenere la convocazione dell’assemblea per l’ostruzionismo degli amministratori.

 

Le decisioni dei soci senza assemblea nelle s.r.l.

 

Per comprendere la questione occorre anzitutto ricordare che nelle s.r.l., a differenza di quanto accade nelle s.p.a., molte decisioni dei soci (ma non tutte) possono essere assunte senza la convocazione di un’assemblea e semplicemente attraverso una consultazione scritta dei soci o attraverso la raccolta del consenso scritto dei soci (a condizione che l’atto costitutivo preveda questi metodi di decisione: si veda l’articolo 2479 del codice civile).

Se, quindi, l’atto costitutivo lo prevede diverse decisioni dei soci (per esempio quella relativa all’approvazione del bilancio) possono essere assunte sulla base di una proposta di decisione circolarizzata tra i soci e da questi accettata (secondo il metodo della “consultazione scritta”) o attraverso la sottoscrizione di dichiarazioni di consenso dei soci (secondo il metodo della “raccolta del consenso”).

In pratica – senza particolari formalità – un socio può comunicare agli altri soci (per esempio a mezzo della posta elettronica o comunque con un sistema che assicuri certezza di trasmissione delle informazioni) una proposta di decisione (approvare il bilancio, rinnovare il consiglio di amministrazione, autorizzare una certa operazione dell’organo amministrativo…) e la proposta si ha per approvata se vi è il consenso della maggioranza dei soci prevista dallo statuto (ordinariamente il 51%) senza necessità della riunione fisica dei soci e nemmeno di un dibattito a mezzo telefonico o a mezzo di videoconferenza.

 

Quando nelle s.r.l. l’assemblea è obbligatoria ?

 

Non tutte le decisioni dei soci nelle s.r.l. possono essere assunte senza la celebrazione di una vera e propria assemblea.

Secondo il codice civile (articolo 2479) le decisioni dei soci devono essere assunte obbligatoriamente con le formalità assembleari (convocazione, riunione, verbalizzazione, ecc.) nei seguenti casi:

–        quando hanno a oggetto le modificazioni dell’atto costitutivo;

–        quando si riferiscono alla decisione di “compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci;

–        quando lo richiedono uno o più amministratori o un numero di soci che rappresenti almeno un terzo del capitale;

–        quando occorra provvedere ai sensi dell’articolo 2482 bis in caso di perdita che abbia ridotto il capitale di oltre un terzo.

Anche nelle s.r.l. vi sono quindi casi in cui l’assemblea deve essere obbligatoriamente convocata e deve obbligatoriamente svolgersi (e sono casi tutt’altro che infrequenti dato che molti atti costituitivi non prevedono la possibilità della decisione con consultazione dei soci o raccolta del loro consenso).

 

Richiesta di convocazione dell’assemblea e inerzia degli amministratori. Nelle s.r.l. manca una norma specifica.

Come si è visto vi sono situazioni nella quali anche nelle s.r.l. deve necessariamente svolgersi un’assemblea.

Può, però, accadere che gli amministratori, in buona o in mala fede, non provvedano a convocarla (per esempio perché non vogliono che si dia corso a una modificazione dell’atto costitutivo.

La parte del codice civile dedicata alle s.r.l. non contiene alcuna regola utile a risolvere la situazione di stallo che in questo modo si viene a creare.

La normativa sulle s.p.a., che è più completa, contiene invece una regola ad hoc, ossia l’articolo 2367 cod. civ., norma per la quale nelle s.p.a. i soci che rappresentino almeno un ventesimo del capitale sociale possono chiedere agli amministratori la convocazione dell’assemblea e in caso di loro inerzia rivolgersi al Presidente del Tribunale perché provveda in sostituzione degli amministratori stessi.

Per le s.r.l., invece, sembra esistere un vuoto normativo

 

La decisione della Cassazione del 25 maggio 2016 n. 10821

 

Sulla questione della convocazione dell’assemblea di s.r.l. su richiesta dei soci è intervenuta la Cassazione con la decisione n. 10821 del 25 maggio 2016.

Secondo questa decisione alle s.r.l. non può considerarsi applicabile, neppure per analogia, la regola dettata in materia di s.p.a. dall’articolo 2367

Per la Cassazione, infatti, nel nostro sistema legale s.r.l. e s.p.a. sono due tipi di società radicalmente diversi e non è quindi possibile “estendere” alle s.r.l. le regole del codice civile in materia di s.p.a.

Ciò detto la Suprema Corte ha affermato il seguente principio: nelle s.r.l. in caso di inerzia degli amministratori, l’assemblea può essere convocata direttamente da tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale.

La decisione precisa che questa soluzione è imposta dal fatto che secondo l’articolo 2479 del codice civile gli amministratori devono convocare l’assemblea quando ne facciano richiesta tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale.

Se, quindi, in tale situazione gli amministratori devono necessariamente convocare l’assemblea pare giustificato estendere l’applicazione della norma fino ad attribuire a chi rappresenti almeno un terzo del capitale il potere di “autoconvocare” l’assemblea.

La decisione conferma quanto in passato era già stato affermato da decisioni dei Giudici di Merito ed è stata poi ripresa dal Tribunale di Roma con una decisione del 14 febbraio 2017 (disponibile a richiesta).

In quest’ultima decisione si fa riferimento al concetto di “Inderogabilità della legittimazione dei soci in ipotesi di inerzia ostruzionistica dell’amministratore” ma si ammette che l’atto costitutivo possa liberamente determinare l’ammontare della partecipazione necessaria per poter convocare l’assemblea, a condizione che non si arrivi a “eliminare del tutto tale facoltà, provocando … la paralisi della vita societaria”

 

Conclusione

Il principio affermato dalla Cassazione è molto importante, soprattutto perché può a mio parere essere applicato anche al caso in cui lo statuto non ammette forme di decisione dei soci diverse dalla celebrazione di un’assemblea.

In questo caso, quindi, è comunque possibile ai soci procedere direttamente a convocare l’assemblea, salvando la società dalla paralisi.

 

È “ritornata” la denuncia al tribunale delle irregolarità nella gestione della S.R.L.

Nelle s.r.l. torna la denuncia al Tribunale

Dal 16 marzo 2019 sono entrate in vigore alcune parti del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14)

Si discute e si discuterà molto degli aspetti di diritto fallimentare, che sono il cuore delle nuove norme.

Devono però essere anche ricordate le nuove regole che interessano le società, tra cui il secondo comma dell’articolo 379., che reintroduce nel codice civile regole tali da dare  ai soci delle società a responsabilità limitata la possibilità (eliminata nel 2003) di denunciare al Tribunale “gravi irregolarità gestionali” nei modi regolati dall’articolo2409 c.c. per le società per azioni.

La questione merita di essere approfondita.

È possibile riscattare la partecipazione di un socio nella società?

Pochi sanno che il codice civile consente di inserire negli statuti delle s.p.a. e delle s.r.l. una clausola di “riscatto”, in base alla quale gli altri soci (o la società stessa) possono acquistare la partecipazione sociale di un socio al verificarsi delle condizioni previste nello statuto.

In presenza di una clausola di riscatto, in altre parole, il socio può essere estromesso dalla società anche contro la sua volontà, a condizione che gli sia versato un prezzo congruo per la partecipazione che deve cedere.

La clausola di riscatto può essere molto utile nei casi in cui si vuole controllare con attenzione la composizione del capitale sociale e l’identità dei soci, per evitare che facciano parte della società soggetti non graditi agli altri soci o a terzi come i clienti, i fornitori, la Pubblica Amministrazione, ecc.

Come tutelare il credito con una garanzia

Quando non si ha completa fiducia nel proprio debitore un buon modo per tutelare il credito è chiedere che un terzo garantisca il pagamento.

In questo modo si può affrontare con maggiore serenità sia la concessione di credito per la vendita di merci sia la costituzione di un rapporto di lunga durata, come un appalto o una somministrazione periodica di servizi (pulizia, pasti, ecc.).

Purtroppo spesso non si pensa a chiedere una garanzia e se la si chiede lo si fa senza conoscere con precisione la normativa applicabile.

Il post vuole dare un contributo alla conoscenza del concetto di garanzia e qualche indicazione in proposito.

Quando gli amministratori devono risarcire la società?

Gli amministratori  “scivolano” sulla responsabilità

Sul tema delle responsabilità di natura civile degli amministratori delle società spesso si hanno idee confuse e convinzioni errate.

Gli amministratori di qualsiasi società devono risarcire il danno che abbiano causato alla società stessa per avere operato in modo negligente o in conflitto di interessi.

Applicando le regole del codice civile è possibile richiedere agli amministratori infedeli o negligenti ingenti risarcimenti.

Le responsabilità penali degli amministratori sono note e molto temute (per esempio quelle per i reati di bancarotta, per l’evasione dell’IVA e le frodi fiscali o per le violazioni in materia di sicurezza sul lavoro).

Come controllare la solvibilità dei clienti?

L’insolvenza dei clienti va prevenuta

Spesso le imprese potrebbero evitare di subire dei ritardi di pagamento o – peggio – degli insoluti se effettuassero con diligenza dei controlli sulla solvibilità dei    propri debitori.

Vi sono situazioni nelle quali è opportuno vendere solo contro pagamento in contanti e non iniziare neppure a predisporre opere o servizi che non saranno pagati.

Per sapere quali sono queste situazioni è opportuno organizzare all’interno dell’impresa una specifica funzione di controllo del merito di credito delle controparti contrattuali, così da essere al riparo da brutte sorprese.

Cosa è la prelazione nelle società?

Gli statuti di quasi tutte le società piccole (o comunque non quotate) quando non prevedono il divieto di cessione delle partecipazioni sociali dei soci  (come è usuale nelle società di persone), spesso prevedono un importantissimo limite a tale cessione, ossia la “clausola di prelazione”.

In base a tale clausola statutaria il socio che intende cedere la propria partecipazione alla società a un terzo (socio o non socio) è tenuto, prima di cederla a terzi, a rivolgersi agli altri soci interrogandoli sulla loro eventuale disponibilità ad acquistare la quota (o nelle s.p.a. le azioni che la rappresentano).

Se gli altri soci non sono interessati all’acquisto, allora il socio è libero di cedere la partecipazione a terzi.

La clausola di prelazione è utile a mantenere stabile il capitale sociale e ad evitare che terzi “indesiderati” possano entrare in società ovvero che si alterino gli equilibri tra soci; essa è nota a tutti ma è poco conosciuta nel dettaglio: è utile, invece, conoscerne tutti gli aspetti.