Lo scorso 20 agosto è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale la legge n. 98/2013 di conversione del c.d. “decreto fare”.
Con questa legge sono diventate definitive le modifiche alla disciplina del cosiddetto preconcordato o “concordato in bianco”, introdotto con decreto legge nello scorso giugno 2012.
Si tratta di una questione che mi pare vada approfondita bene, data la confusione che in proposito regna nel mondo delle imprese, in cui a molti non è ancora ben chiaro quali siano gli effetti della procedura di preconcordato e del successivo eventuale concordato preventivo.
Come è noto il concordato preventivo è una procedura prevista dalla legge fallimentare che consiste in un accordo tra l’impresa in crisi e i suoi creditori per procedere al pagamento dei debiti secondo la procedura (tempi, percentuali, ecc.) proposta dall’impresa.
Nel corso di tale procedura i creditori non possono agire contro il soggetto in concordato e devono limitarsi ad aspettare l’esito della proposta del debitore.
Fino al settembre 2012 il concordato preventivo poteva essere aperto solo con la presentazione di una precisa proposta del creditore consistente in un piano contenente la descrizione analitica dei modi e dei tempi di adempimento di quanto promesso ai creditori: dopo la presentazione di questa proposta l’attività d’impresa era immediatamente sottoposta al controllo di un Commissario nominato dal Tribunale.
Il “decreto sviluppo” del 2012 ha però introdotto, con effetto dal settembre di quell’anno, l’istituto del “preconcordato” o “concordato in bianco”, consistente in una procedura che consente alle imprese in crisi di paralizzare le azioni dei creditori con la semplice presentazione al Tribunale di un ricorso non accompagnato da alcun piano con il quale, in buona sostanza, si annuncia l’intenzione di proporre ai creditori entro un certo termine (da sessanta a 180 giorni) un vero e proprio concordato preventivo con un piano di pagamento dei debiti di impresa.
Dalla data della pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso per il preconcordato e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, infatti, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore: non s’istituisce, però, alcun controllo del Tribunale.
Detto in parole povere: dal settembre 2012 chi deve riscuotere un credito non solo è esposto al rischio di una domanda di concordato che paralizza le sue azioni ma si trova anche a non sapere, per un periodo che può arrivare sino a sei mesi, quale sia il contenuto effettivo della proposta del proprio debitore, il quale continua a gestire l’impresa senza particolari controlli.
Qui di seguito un video che illustra la procedura di preconconcordato, video che devo al blog http://italianbankruptcylaw.wordpress.com/
A parere di chi scrive il preconcordato introdotto nel 2012 aveva portato più svantaggi che vantaggi al mondo delle imprese.
L’obiettivo del nuovo istituto era quello di proteggere tempestivamente i complessi aziendali in crisi dalle azioni dei creditori, favorendone il risanamento (anche se in realtà i tempi della giustizia sono tali che non esiste nel nostro Paese un reale rischio di improvvisa dispersione delle aziende che non riescono a onorare i propri debiti).
Tale obiettivo è stato raggiunto solo parzialmente perché, di fatto, il concordato in bianco è richiesto normalmente da imprese già in irreversibile stato di crisi e dato che molte di queste procedure si sono risolte in fallimenti senza neppure la presentazione della proposta concordataria completa.
Di contro, l’introduzione del concordato “in bianco” ha avuto molti effetti negativi.
Il nuovo istituto ha portato, infatti, all’allungamento dei tempi per il recupero dei crediti e alla creazione di situazioni di vero e proprio black out informativo: qualsiasi imprenditore il cui debitore abbia richiesto tale procedura sa bene che per un lungo periodo è impossibile avere qualsiasi indicazione su tempi, percentuale e modi di pagamento del debito.
Il peggior svantaggio del nuovo istituto è stata l’assenza di qualsiasi effettivo controllo sulla gestione dell’impresa dopo la presentazione della domanda.
A seguito del deposito del ricorso per ammissione a preconcordato l’impresa in crisi si trovava (in linea di fatto se non di stretto diritto) a poter svolgere, senza temere le azioni dei creditori, sostanzialmente qualsiasi tipo di operazione, con rischi di distrazione del patrimonio aziendale.
Di fronte alle molte critiche al nuovo istituto il Governo è corso ai ripari con il decreto “fare” convertito nella legge 98/2013.
L’intervento di correzione è stato piuttosto leggero, perché i connotati essenziali del preconcordato non sono stati sostanzialmente toccati.
La nuova disciplina, infatti, prevede solo un piccolo aggravamento degli obblighi di informazione del soggetto che presenta il ricorso “in bianco” e la possibilità (non l’obbligo) di un controllo del Tribunale sul comportamento di tale soggetto.
I nuovi obblighi informativi consistono nel deposito dell’elenco dei creditori insieme al ricorso e poi nel deposito di relazioni almeno mensili sulla gestione finanziaria dell’impresa e sull’attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta definitiva di concordato preventivo.
Il nuovo controllo del Tribunale è solo eventuale: dopo il deposito del ricorso è, infatti, possibile (ma non obbligatoria) la nomina di un Commissario Giudiziale incaricato, in particolare, di vigilare su possibili atti di frode.
Non si tratta, per la verità, di grandi novità: di fatto (e purtroppo) il preconcordato costituisce uno dei tanti ostacoli alla soddisfazione del credito, grande e irrisolto problema dell’economia italiana.
Si sarebbe potuto fare molto di più.
Si sarebbe per esempio potuto introdurre (come negli Stati Uniti) la possibilità per i creditori di richiedere – in determinati casi – di essere esentati dal rispetto del blocco alle loro azioni previsto dalla richiesta di preconcordato (negli U.S.A.: “automatic stay“).
Si sarebbe altrimenti potuto rendere obbligatoria l’autorizzazione del Tribunale per qualsiasi atto dispositivo (con divieto agli Istituti di Credito di consentire esborsi dai conti dell’impresa in concordato).
Tanto altro si sarebbe potuto fare, ma non si è fatto.
Il legislatore ha evidentemente ancora molta fiducia nell’istituto del preconcordato; nei prossimi mesi si vedrà se la fiducia è stata ben riposta.
Chiudo riprendendendo un piccolo video dal blog