IL CONCORDATO PREVENTIVO, L’IMPRESA E I SUOI CREDITORI.

Concordato preventivo. Le regole della crisi d’impresa sono molto cambiate negli ultimi anni.

Per tradizione secolare l’insolvenza dell’imprenditore commerciale determinava l’apertura a suo carico di una procedura fallimentare, finalizzata ad assicurare il pagamento proporzionale di tutti i creditori in condizioni di parità e caratterizzata da una forte impronta punitiva.

Nella prima metà del ventesimo secolo il sistema è stato mitigato offrendo al debitore “onesto e sventurato” la possibilità di concordare con i creditori non privilegiati (che votano a maggioranza) le condizioni della liquidazione dell’attivo, con forte attenuazione degli effetti sanzionatori dell’insolvenza.

Alla fine del ventesimo secolo un movimento di riforma legislativa ha favorito il concordato preventivo (per esempio eliminando il principio dell’intangibilità dei privilegi) e introdotto un innovativo strumento di composizione contrattuale della crisi d’impresa, definito “accordo di ristrutturazione dei debiti” (di cui parleremo ancora).

Nel nuovo sistema i soggetti coinvolti nella crisi d’impresa devono considerare con molta attenzione i vantaggi e gli svantaggi di una procedura di concordato preventivo, che è complessa e piuttosto costosa (per effetto dei molti interventi professionali richiesti) oltre che caratterizzata – nella pratica – da possibilità d’intervento molto forti del Tribunale e del Commissario da questo nominato.

È presto per fare dei bilanci sul “nuovo” concordato preventivo e sulle sue tante implicazioni.

Forse, però, si può ipotizzare che il concordato preventivo sia utile soprattutto per assicurare la continuità di aziende in funzionamento, che può essere favorita da accordi con i creditori per la sistemazione delle pendenze precedenti e la continuazione dei rapporti di credito e di fornitura.

In questa situazione una “buona” procedura concordataria potrebbe prevedere la cessione dell’azienda “purgata” dai debiti (e accompagnata da opportuni provvedimenti per la tutela occupazionale e previdenziale) e quindi il pagamento di quanto proposto ai creditori.

Il concordato è invece, forse, poco utile quando si tratti della mera liquidazione di un patrimonio (immobili, macchinari, strumenti finanziari…).

In questi casi la procedura potrebbe rivelarsi solo un procedimento più oneroso rispetto a quello fallimentare (salva, forse, la maggiore celerità delle vendite, tutta da verificare) e spesso sfociare in una dichiarazione di fallimento motivata dall’impossibilità di adempimento della proposta concordataria.

L’impresa in crisi deve considerare attentamente la convenienza della soluzione concordataria, mentre i creditori non possono limitarsi, nel compiere dal loro punto di vista la medesima valutazione, a considerare la percentuale di soddisfacimento loro offerta: essi dovrebbero, invece, esaminare con attenzione

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