Quando una società si estingue i beni e i crediti residui si trasferiscono ai suoi soci (che ne sono gli “eredi”).
I soci rispondono poi dei debiti della società nei limiti del valore di quanto loro assegnato, a meno che non fossero soci illimitatamente responsabili (in questo caso rispondono ancora dei debiti della società con tutto il loro patrimonio).
Questa è in sintesi la soluzione data alla giurisprudenza a un problema che tanti si pongono quando è necessario chiudere una società che ha però ancora un patrimonio.
Può succedere, per esempio, che l’attività aziendale sia esaurita da tempo ma che resti da vendere il complesso dell’officina e degli uffici che servivano per l’attività operativa o che si voglia evitare di mantenere una società attiva (con relativi costi di gestione) semplicemente perché c’è ancora da recuperare un grosso credito.
In tutti questi casi si pone il problema affrontato in questo post.
Cosa prevede il codice civile?
Come sempre bisogna partire dal codice civile.
La materia della estinzione delle società è regolata per le società di persone dall’articolo 2312 c.c. e per quelle di capitali dal numero 2495.
Per il primo articolo «Approvato il bilancio finale di liquidazione i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento e dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi».
Per il secondo, rinnovato dalla riforma del 2003: «Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi».
Queste norme sono chiarissime.
Come affermato da una recente sentenza “alla cancellazione della società consegue ipso iure” (ciò in modo automatico) “l‘estinzione della società stessa, indipendentemente dall’esistenza di crediti insoddisfatti o rapporti pendenti“.
In passato c’era chi sosteneva che il codice civile dovesse essere interpretato nel senso che l’estinzione “automatica” si verificasse solo per le società di capitali e non anche per quelle di persone, ma il problema è ormai risolto nel senso che – indipendentemente dal tipo di società – quando la stessa è cancellata essa “muore” definitivamente.
E cosa succede quindi di beni e crediti della società?
Secondo quanto costantemente affermano i Tribunali e la Cassazione l’estinzione della società attiva un meccanismo successorio assimilabile a quello che si verifica alla morte di una persona fisica.
Una volta venuta meno la società, che è uno strumento dell’attività dei soci, i rapporti giuridici e i beni della società medesima si trasferiscono ai suoi soci, beneficiari ultimi dell’attività sociale.
Se c’è un immobile, per esempio, i soci ne diventano comproprietari. Se c’è un credito ne diventano contitolari.
Come affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 10694 del 2016 “i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa“.
Attenzione, però: secondo la giurisprudenza la successione nei crediti della società si verifica solo quando la cancellazione della società stessa non possa essere interpretata come implicita manifestazione della volontà di rinunciare all’incasso dei medesimi. Si considera in particolare come implicita rinuncia all’incasso il fatto che la società sia stata cancellata senza che il liquidatore avesse reclamato dai creditori il pagamento dei crediti.
Il Tribunale di Milano ha per esempio affermato nel gennaio 2018 che:
“L’estinzione di una società di persone conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese determina un fenomeno di tipo successorio in virtù del quale sono trasferiti ai soci esclusivamente le obbligazioni ancora inadempiute ed i beni o i diritti non compresi nel bilancio finale di liquidazione, con esclusione, invece, delle mere pretese, ancorché azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi necessitanti dell’accertamento giudiziale non concluso, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente, quindi, di ritenere che la società vi abbia implicitamente rinunciato, con la conseguenza che gli ex soci non hanno la legittimazione a farli valere in giudizio”.
La sorte dei debiti della società
Secondo l’orientamento della giurisprudenza il trasferimento dei debiti è circoscritto dalle regole proprie del tipo di società: solo i soci a responsabilità illimitata subiscono il trasferimento integrale dei debiti, mentre quelli a responsabilità limitata rispondono solo nei limiti del valore di quanto loro attribuito in sede di liquidazione.
Una sentenza della Corte d’Appello di Bari del dicembre 2017 ha chiarito poi, molto opportunamente, che spetta ai creditori, dimostrare quanto è stato attribuito ai soci in sede di liquidazione:
l’estinzione della società non determina il venir meno dei debiti insoddisfatti nei confronti dei terzi, dando vita, invece, ad un fenomeno di tipo successorio in forza del quale il socio si prefigura quale successore universale, benché nei limiti sanciti dal c.c., artr. 2495, Sussiste, però, un obbligo di allegazione e di prova, che, a seconda dei casi, le parti dovranno assolvere affinché sia provata la propria legittimazione a stare in giudizio nonché la corretta costituzione del contraddittorio. Infatti, nei giudizi aventi ad oggetto una pretesa creditoria, detto onere di allegazione si riversa in capo al creditore sociale, il quale deve provare, con la produzione del bilancio finale di liquidazione, tanto l’avvenuta distribuzione dell’attivo sociale quanto la riscossione di una quota di esso da parte dei soci, non essendo sufficiente il dato della cancellazione della società dal registro delle imprese.
Quadro riassuntivo.
Un chiarissimo quadro riassuntivo della questione è contenuto nella decisione della Cassazione civile, n. 10694 del 24 maggio 2016:
“L’estinzione della società di capitali per effetto della volontaria cancellazione dal registro delle imprese dà luogo ad un fenomeno di tipo successorio nei confronti dei soci, in virtù del quale: l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce si soci, che rispondono nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione, o illimitatamente, a seconda che fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa. In astratto, pertanto il socio successore della società ha legittimazione ad impugnare una decisione emessa nei confronti della società estinta. Si tratta di verificare la presenza di un comportamento pregresso della società inequivocabilmente inteso a rinunciare alla controversia, venendo meno in tal caso l’oggetto della trasmissione successoria”.
Qualche eccezione
In un altro post affronteremo ancora l’argomento soffermandoci su norma relative all’estinzione della società che derogano al principio per cui una volta cancellata dal Registro delle Imprese la società stessa è estinta.
Si tratta dell’articolo 10 della legge fallimentare (che ammette la fallibilità delle società entro l’anno dalla cancellazione) e dell’articolo 28 del decreto legislativo n. 175 del 2014 che in sostanza fa sopravvivere le società cancellate, per cinque anni, nei confronti del fisco e degli enti previdenziali che vantino crediti nei loro confronti.