“Egregio Avvocato buongiorno,
Le avranno riferito che l’ho cercata in studio…
Le volevo chiedere, Lei non ha mai sentito parlare della LEGGE ANTI SUICIDI. Volevo valutare con Lei se la legge si può applicare al mio caso…”
Qualche settimana fa ho aperto la posta elettronica e ho trovato il messaggio che ho riportato testualmente sopra (comprese le virgole e le maiuscole…).
Chi lo ho scritto è un uomo non più giovane che ha prestato fideiussioni per sostenere l’attività della s.r.l. che aveva costituito con la moglie.
La società di famiglia godeva, infatti, di ingenti finanziamenti e di credito dai fornitori, ma l’incertezza del settore di attività aveva fatto sì che i finanziatori e i fornitori strategici chiedessero ai soci di garantire personalmente l’esposizione della s.r.l.
La s.r.l. era stata travolta dal fallimento dei clienti più importanti e aveva finito con il fallire a sua volta, senza restituire il denaro avuto a prestito.
Dopo il fallimento della società, le Banche si sono fatte avanti e hanno minacciato l’aggressione del patrimonio del fideiussore, costituito dalla casa di abitazione e da un piccolo appezzamento di terreno.
La persona che mi ha scritto è veramente disperata, anzitutto perché si trovava di fronte alla prospettiva di “perdere tutto” fino a ritrovarsi letteralmente per strada, come purtroppo accaduto a tanti imprenditori prima di lui (le notizie di cronaca in proposito sono moltissime http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2012/04/12/news/imprenditore-sul-lastrico-ora-dorme-in-macchina-1.3801960).
La disperazione di chi mi ha scritto era accresciuta dal timore di non potere intervenire in alcun modo nel processo di liquidazione del suo patrimonio per opera dei creditori: tutto quello che il fideiussore sapeva era che – prima o poi – un creditore avrebbe avviato la procedura di pignoramento, che si sarebbe svolta un’asta e che se alla fine il ricavato dell’asta non avesse consentito di pagare tutte i debiti lui sarebbe rimasto – per sempre – responsabile dell’ingente debito accumulato.
Spinto dalla disperazione l’autore della mail aveva fatto qualche ricerca, scoprendo l’esistenza della c.d. legge salva suicidi, ossia la numero 3 del 2012.
Proprio grazie a questa legge ho potuto suggerire all’interessato una soluzione che, spero, potrà portare alla soluzione dei suoi problemi.
In effetti, dall’anno 2012 la normativa italiana offre una possibilità nuova alle tante persone (e ai tanti Enti) che non sono soggetti a fallimento (per esempio perché operano nel campo dell’agricoltura o perché non hanno la qualifica di imprenditori) e che si trovano in condizione di sovraindebitamento, ossia, dice la legge 3/12, in una condizione di “perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, in altre parole la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.
In base alla legge citata i “sovra indebitati” hanno diverse possibilità per governare e risolvere la propria situazione fino ad arrivare – a certe condizioni- alla definitiva “esdebitazione”, ossia alla liberazione da tutti i debiti.
Si tratta di procedure di risoluzione del sovraindebitamento da svolgersi sempre con l’assistenza di un Organismo indipendente, specializzato nell’assistenza a chi ha troppi debiti e non sa come risanare la propria situazione finanziaria (in Italia stanno sorgendo diversi Organismi, mentre è sempre possibile chiedere al Tribunale la nomina di un professionista che svolga le funzioni dell’Organismo).
Queste procedure possono essere utilizzate sia da chi ha la qualità di imprenditore (purché non fallibile) sia da chi ha la qualità di consumatore e sono utili sia quando il sovraindebitamento è dipeso da scelte discrezionali del debitore sia quando la situazione si sia determinata per effetto di eventi del tutto involontari, come la malattia o le avversità naturali.
La prima procedura consiste nell’elaborazione di un piano che preveda in modo serio e documentato un percorso di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti, indicando le eventuali garanzie e le modalità di liquidazione dei beni.
Il contenuto del piano non è stabilito dalla legge.
Non è quindi prevista alcuna percentuale minima di soddisfazione dei creditori: si può anche arrivare al pagamento non integrale dei creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca, purché ciò sia ragionevole (ossia purché sia pagata una somma non inferiore a quella ragionevolmente ricavabile in caso di liquidazione forzosa del bene o dei beni sui quali esiste il privilegio).
L’unico limite nella formazione del piano è costituito dall’obbligo di assicurare il pagamento integrale dei crediti c.d. “impignorabili” (ossia, in sostanza, quelli alimentari) e – altresì – il pagamento integrale dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea e delle ritenute operate e non versate (ma in proposito ci sono segnali di superamento della rigidità normativa).
Il piano deve essere redatto con la dovuta diligenza, ossia in modo da assicurare l’effettiva realizzazione di quanto proposto ai creditori ma le forme di soddisfazione dei creditori medesimi possono essere le più varie (si può, per esempio, prevedere il pagamento mediante la cessione di crediti futuri o l’intervento di un terzo garante, come un Consorzio Fidi).
È importate sottolineare che il Piano deve tenere conto di un elemento normalmente non considerato nelle procedure di pignoramento (o del quale è difficile che si riesca a tenere conto in modo corretto e accurato).
Si tratta dell’ammontare delle spese necessarie per il sostentamento del debitore e della sua famiglia: tale importo deve essere considerato dal Piano in modo tale che lo stesso sia escluso dal “flusso” di risorse destinato alla soddisfazione dei creditori, così che il debitore possa continuare un’esistenza dignitosa, nonostante l’impegno di saldare i debiti.
Dopo l’elaborazione del Piano l’Organismo di composizione della crisi ne deve attestare la “fattibilità”, ossia l’effettiva idoneità ad assicurare quanto promesso ai creditori.
Una volta che il piano è stato elaborato e dichiarato “fattibile”, lo stesso deve essere presentato al Tribunale, che emette un decreto con il quale dispone la sospensione delle azioni esecutive a danno del debitore (ossia il blocco dei pignoramenti in corso) e ordina che la proposta sia resa nota ai creditori.
Si apre a questo punto la fase dell’approvazione della proposta, che si considera accettata dai creditori che entro il termine fissato dalla legge non abbiano comunicato il proprio dissenso o abbiano espresso il proprio consenso (si applica, in pratica, il criterio del “silenzio assenso”).
La legge esclude dal computo dei voti, ovviamente, i creditori destinati a essere interamente pagati e i familiari del debitore.
Se vi è l’assenso (anche “silenzioso”) di creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti l’accordo è sottoposto a una definitiva valutazione da parte del Tribunale che, se non ravvisa ostacoli e non ritiene più conveniente la liquidazione dei beni, dispone l’“omologazione” dell’accordo, determinandone pertanto l’obbligatorietà per tutti i creditori.
Dopo di che il debitore non deve far altro che adempiere gli impegni assunti con il Piano e la conseguente proposta ai creditori, in una situazione di tranquillità operativa, nella quale non è costretto (come invece accade nelle “normali” situazioni di indebitamento) a far fronte di continuo alle azioni dei propri creditori, senza un coordinamento e senza la prospettiva di arrivare a un pagamento in percentuale.
Una volta adempiuto il Piano il debitore è liberato della parte di debiti non soddisfatta (cosa che non sarebbe avvenuta in caso di “normale” procedura di pignoramento) e può programmare una normale ripresa della propria attività professionale e della propria vita personale.
La seconda procedura prevista dalla legge 3/2012 è la proposta di “piano del consumatore”.
La procedura di “piano del consumatore” ha caratteristiche molto simili a quella ora descritta con l’importante differenza che per l’omologazione della proposta non è previsto l’obbligatorio assenso dei creditori: ai creditori, che devono essere informati del Piano, è dato solo il diritto di contestare la convenienza del Piano stesso (su tale contestazione decide il Tribunale).
Il piano del consumatore è quindi uno strumento particolarmente snello.
Va, però, considerato che secondo un diffuso orientamento questo strumento non può essere utilizzato da chi ha contratto debiti per effetto di fideiussioni prestate a soggetti imprenditoriali: tali debiti, infatti, non sono considerati inerenti all’attività di consumo (ci sono però segni di superamento di quest’ orientamento, che è obiettivamente molto limitativo, soprattutto nelle situazioni in cui il fideiussore non è assolutamente coinvolto nell’attività d’impresa).
La terza procedura è quella di “liquidazione dei beni” ed è caratterizzata dal fatto che con essa il debitore (sempre assistito da un Organismo di composizione della crisi) non elabora un piano per la ristrutturazione dei debiti e/o il loro pagamento, ma chiede la liquidazione di tutti i suoi beni con l’intervento di un Liquidatore nominato dal Tribunale.
Come si è visto la legge italiana offre diverse soluzioni per uscire dalla situazione di “sovraindebitamento”.
Le norme che ho cercato di riassumere e chiarire possono e devono essere migliorate e molto si può fare per la diffusione delle soluzioni che ho descritto.
Va però considerato che tali soluzioni non sono un rimedio magico contro i debiti.
Chi voglia uscire dal sovraindebitamento deve – infatti- sapere che è tenuto a elaborare una proposta seria o – almeno – a offrire la liquidazione di tutti i suoi beni.
Spesso, invece, le procedure di composizione della crisi sono iniziate e poi abbandonate perché i debitori non possono (o non vogliono) impegnarsi nella formulazione di una proposta “fattibile” o perché sono sedotti dalla prospettiva di alimentare all’infinito il contenzioso con i propri creditori, nella speranza di arrivare a non pagare nulla o di giungere a transazioni molto vantaggiose.
La propensione alla lite in Italia è connaturale al comune sentire (il numero delle cause civili in corso è lì a dimostrarlo).
In una situazione di forte indebitamento, però, la lite non è (salvo casi particolari) la vera soluzione dei problemi, mentre gli strumenti offerti dalla legge 3/2012 possono garantire una via d’uscita serena e non troppo complessa (tra l’altro utile anche quando i debiti abbiano natura fiscale, anche grazie alla possibilità di utilizzare i benefici della c.d. “rottamazione” delle cartelle).
Questa via d’uscita, peraltro, è certamente più gradita ai creditori rispetto alla frequente serie parallela di trattative individuali, nelle quali ciascun creditore ha sempre il timore che altro soggetto nella sua posizione riceva un trattamento preferenziale o che il debitore occulti dei beni.
Va, infine, sottolineato che gli strumenti offerti dalla legge 3/2012 non possono essere utilizzati dai debitori che abbiano tenuto un comportamento scorretto nei confronti dei propri creditori.
La legge, infatti, prevede che il piano di composizione della crisi non possa essere omologato dal Tribunale quando il Tribunale accerti “la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori” (in un caso recente, per esempio, il Tribunale di Milano non ha omologato la proposta di un debitore che aveva donato gran parte del suo patrimonio a familiari).
Quanto ora detto impone, a chi abbia molti debiti e ai suoi consulenti, un’attenta riflessione sulla reale opportunità delle tante “manovre” note alla prassi per sfuggire ai debiti (intestazioni fittizie e donazioni in primo luogo).
Queste “manovre”, infatti, rischiano di compromettere la possibilità di uscire in modo trasparente e definitivo dalla spirale delle passività.