COME SI APPROVANO LE DECISIONI DEI SOCI NELLE SOCIETÀ DI PERSONE?

La disciplina delle società di persone contiene numerose norme concernenti le decisioni dei soci che non precisano se le decisioni medesime debbano essere assunte all’unanimità ovvero a maggioranza.
Si vedano ad esempio l’articolo 2259 relativo alla revoca dell’amministratore, l’articolo 2256 relativo all’approvazione del bilancio di esercizio ed all’autorizzazione per l’uso dei beni sociali per fini extrasociali, l’articolo 2301 relativo all’esonero dal divieto di concorrenza.
Altre norme, invece, regolano esplicitamente la questione del quorum.

COME SCEGLIERE UN SERVIZIO DI ASSISTENZA LEGALE?

Uno dei principali problemi per l’uso degli strumenti del diritto è la scelta dell’avvocato che possa assistere l’impresa in giudizio o nelle scelte contrattuali e organizzative.
Parlando con clienti e colleghi, sono giunto alla conclusione che una buona procedura di scelta potrebbe essere articolata nelle seguenti quattro tappe:
1.     Raccolta d’informazioni preventive. Prima di avviare un contatto professionale è bene cercare di informarsi preventivamente con ogni mezzo disponibile (stampa, indicazioni di altri imprenditori, referenze di consulenti dell’impresa, internet) sulle caratteristiche dei legali disponibili in zona, con particolare riferimento a questioni come la sede dello studio, le competenze, la disponibilità di tempo e il trattamento economico della clientela.

COME PREVENIRE LE ECCEZIONI DEI CLIENTI INSOLVENTI?

Le statistiche internazionali collocano l’Italia ai primi posti nella graduatoria dei Paesi che presentano alti tassi di ritardo nei pagamenti.
Nella programmazione aziendale dell’uso del diritto è opportuno prestare particolare attenzione alla questione delle eccezioni dei debitori.
Nella prassi degli affari, salvi i casi di crisi imprenditoriale conclamata, l’insolvenza è spesso accompagnata da eccezioni riguardanti il rapporto con il creditore: difetti dei prodotti o dei servizi, ritardi di consegna, mancata assistenza post vendita, mancanza di pezzi di ricambio…
Le eccezioni sono talvolta verosimili e talvolta, invece, palesemente incredibili.

QUALI SONO I CRITERI PER LA FORMAZIONE DEL RENDICONTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE?

Si ritiene generalmente che nelle società semplici il rendiconto annuale possa essere formato senza rispettare le disposizioni in tema di bilancio d’esercizio: questo perché tali società non sono obbligate alla tenuta della contabilità (Tra i tanti: Campobasso; Ferri;  per la diversa opinione cfr. Ragusa Maggiore, e Weigmann.
Nelle società in nome collettivo ed in accomandita semplice, nelle quali vige, (art. 2302 c.c.), l’obbligo di tenuta delle scritture contabili, si ritiene che il rendiconto debba essere formato secondo i criteri propri del bilancio delle società per azioni, alla luce del principio generale (art. 2217 c.c.) per cui l’imprenditore deve attenersi, nelle valutazioni di bilancio, ai criteri stabiliti per le società per azioni, in quanto applicabili (per riferimenti cfr. Presti-Rescigno, 2005, II, 44).
Per la tutela del socio appare comunque opportuno che nella formazione del contratto sociale vengano inserite clausole che prevedano dettagliatamente i criteri per la distribuzione degli utili e che impongano agli amministratori la formazione di un resoconto articolato, formato secondo i criteri contabili applicabili al bilancio di esercizio.

LA DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI NELLE SOCIETÀ DI PERSONE

Nelle società di persone tutti i soci partecipano agli utili della gestione sociale: i soci partecipano altresì, salvo per i casi in cui è ammesso il patto contrario, alle relative perdite.
Non esistono regole imperative sulle modalità di ripartizione degli utili tra i soci delle società di persone, salvo il divieto del “patto leonino” (art. 2256 c.c.: “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”).
Esistono peraltro (art. 2263 c.c.) delle regole suppletive, applicabili in difetto di accordo tra le parti sulle modalità di distribuzione dell’utile.
Si tratta delle seguenti regole:
– le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali ai conferimenti. Se il valore dei conferimenti non è determinato dal contratto, tali parti si presumono uguali;
– la parte spettante al socio che ha conferito la propria opera, se non è determinata dal contratto, è fissata dal Giudice secondo equità;
– se il contratto determina soltanto la parte di ciascun socio nei guadagni, si presume che debba determinarsi nella stessa misura la partecipazione alle perdite.
Il contratto sociale può peraltro prevedere che la determinazione della parte di guadagni e di perdite spettante a ciascun socio sia rimessa a un terzo, che operi come “arbitratore” (art. 2264 c.c.).
Nelle società di persone il diritto alla percezione dell’utile sorge immediatamente dopo l’approvazione del rendiconto annuale e non può – quindi – essere sottratto a un socio senza il suo consenso, salvo contraria disposizione del contratto sociale (art. 2262 c.c.).

LITI TRA I SOCI. COSA FARE?

A un certo punto succede …
Dopo anni di lavoro insieme, di progetti e di fatiche condivisi viene un momento in cui l’equilibrio si rompe e inizia una lite fra i soci.
Alcune liti si compongono velocemente, perché prevale in tutti i soci la volontà di conservare l’impresa.
In altri casi nascono conflitti che assomigliano, nei toni e nei modi, alle peggiori saghe coniugali.
L’esperienza insegna che nelle piccole e medie società le liti disturbano – inevitabilmente – la conduzione aziendale e talvolta determinano la crisi dell’impresa.
Le liti sono devastanti perché il diritto non offre alcuno strumento per la rapida composizione dei contrasti tra soci.
Ci sono degli imprenditori, molto accorti (o dei consulenti molto attenti) che programmano la possibilità di un contrasto al momento della stesura dei patti sociali, nei quali inseriscono complesse regole utili a risolvere le liti, come le clausole di esclusione, di recesso, di riscatto o quelle di conciliazione.
Di solito, tuttavia, le liti non sono previste. Questo, ad esempio, perché molte delle piccole società italiane sono fondate all’interno di ristretti gruppi familiari, dominati da un soggetto “forte” sul piano personale o imprenditoriale: il successivo trasferimento ereditario delle partecipazioni aumenta la possibilità delle liti.
Qui di seguito qualche riflessione su cosa pare opportuno fare di fronte ad un conflitto.
Analizzare lo scenario del contrasto
Le controversie societarie possono insorgere in scenari molto diversi e sono influenzate da molti fattori, i più importanti dei quali sono la dimensione della società, il numero di soci e i rapporti di forza tra gli stessi.
In generale (ma vi sono molti casi intermedi) si contrappongono un socio (o un gruppo di soci) in grado di aggregare la maggioranza del capitale a un altro socio (o gruppo di soci) “di minoranza”.
La “minoranza” è normalmente in posizione di debolezza, anche se si possono presentare situazioni differenti, nelle quali i rapporti di forza sono invertiti. Questo accade, ad esempio, quando il soggetto che detiene una parte molto piccola del capitale sociale è il titolare esclusivo del know how sociale o ha concesso alle banche delle garanzie determinanti per la continuazione dell’attività.
Il soggetto coinvolto in un conflitto societario deve quindi analizzarne attentamente lo scenario, per valutare quali siano i rimedi possibili.
Non esistono rimedi giuridici immediati delle liti societarie: quando i soci di una società litigano non esiste un procedimento di risoluzione immediata del conflitto, come ne esistono nel diritto di famiglia (divorzio, decadenza della potestà genitoriale) o in quello della proprietà (divisione, imposizione forzosa di servitù su di un fondo…). …)
Questo vuol dire che il socio interessato a risolvere il conflitto è costretto a dedicare molte energie per indurre gli altri soci ad affrontare la questione a trovare un rimedio soddisfacente.
I rimedi possono essere molti: si va da una riorganizzazione della società tale da distribuire diversamente utili e remunerazioni, all’attribuzione diretta a soci di talune attività fino all’uscita di uno o più soci o – in casi estremi – allo scioglimento della società.
Una volta programmato il rimedio che pare maggiormente desiderabile occorre porlo in essere.
Per arrivare a questo risultato la prima strada è quella della trattativa. Si tratta di indurre gli altri soci ad accettare, senza alcun contenzioso, le riorganizzazioni o i trasferimenti (di partecipazioni, di rami d’azienda o di altro) che possano essere utili per porre fine alla lite.
La seconda strada, purtroppo spesso necessaria, è quella del contenzioso.
Si tratta però, occorre sottolinearlo, di un contenzioso “indiretto”, ossia dell’uso di strumenti processuali che solo indirettamente possono portare alla soluzione della lite.
In altre parole: il socio che intende ottenere la liquidazione della propria partecipazione potrà verificare se vi sono irregolarità da parte degli amministratori “vicini” agli altri soci e quindi svolgere le iniziative conseguenti (dalla mera impugnazione degli atti amministrativi fino all’azione di responsabilità o alla denuncia al Tribunale, se ammessa nel particolare tipo di società).
Allo stesso modo: il socio che intende ottenere una riorganizzazione societaria potrebbe promuovere verifiche della gestione della particolare divisione organizzativa alla quale è interessato. Se il rimedio prescelto è quello del contenzioso, occorre scegliere con particolare attenzione i consulenti e i professionisti ai quali affidarsi. È, in particolare, molto importante, per evitare conflitti di interessi, che si tratti di soggetti diversi da quelli con i quali la società ha ordinariamente rapporti. È, parimenti, importante scegliere dei soggetti effettivamente esperti nella materia, che saranno capaci di scegliere gli strumenti processuali migliori. Il contenzioso non è, lo si è detto, il rimedio delle parti più forti. Occorre poi essere ben consapevoli che si tratta di un percorso molto complesso (e forse costoso), durante il quale la controparte potrà porre in essere molte contromisure pericolose come l’allontanamento dalla società di collaboratori vicini al socio litigioso o l’approvazione di aumenti di capitale finalizzati a “diluire” la partecipazione di questo socio.
Tutto questo mentre il conflitto potrebbe logorare la società e ostacolarne l’ordinaria gestione.
Per questi motivi pare opportuno individuare degli strumenti processuali quanto più rapidi ed efficaci possibile.
Azioni di mero disturbo, come le impugnazioni di bilancio, non si rivelano, all’atto pratico, molto efficaci.
Maggiori prospettive hanno, invece, iniziative più incisive come le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori (che nelle s.r.l. possono essere promosse da qualsiasi socio) o la richiesta di intervento di organismi di controllo.

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LA DIMINUZIONE DEL VALORE DELLA PARTECIPAZIONE SOCIALE NELL’AZIONE DI RESPONSABILITÀ VERSO GLI AMMINISTRATORI.

Per costante orientamento giurisprudenziale e dottrinale l’azione “individuale” di responsabilità non può essere proposta dai soci nei confronti degli amministratori sul solo presupposto della diminuzione del valore della partecipazione sociale conseguente a scelte amministrative censurate.
Questo perché l’azione in questione si può proporre solo quando esiste un danno “diretto” al socio e non anche quando il pregiudizio lamentato sia un mero riflesso di un danno al patrimonio della società.
Ciò significa, in particolare, che non è ammissibile l’azione del socio che voglia ottenere dagli amministratori il risarcimento del danno conseguente alla presunta riduzione del valore della sua partecipazione sociale derivante da atti di mala gestio.
Sul punto si riscontra un consolidato orientamento della Corte di Cassazione.
Il Supremo Collegio ritiene che il danno consistente nella riduzione del valore della partecipazione societaria, non costituisce danno diretto ai sensi dell’art. 2395 c.c. in quanto configura un effetto mediato di quello asseritamente arrecato al patrimonio sociale.
Questo perché la partecipazione sociale, pur attribuendo al socio una complessa posizione, comprensiva di diritti e poteri, è un bene distinto dal patrimonio sociale e, quindi, nell’ipotesi di (prospettata) diminuzione di valore della misura della partecipazione, il pregiudizio derivante al socio è una conseguenza indiretta e soltanto eventuale della condotta dell’amministratore o del liquidatore.
Sulla scorta di questa considerazione il diritto alla realizzazione dell’oggetto sociale ed alla conservazione del patrimonio sociale spetta alla società, non al socio, il quale ha, in materia, un mero interesse, la cui eventuale lesione, anche se determinata dalla “pessima amministrazione della società (Cass. n. 2251 del 1998; n. 9385 del 1993) e dalla violazione dei doveri di amministratore verso la società (Cass. n. 9385 del 1993, in riferimento ad un caso di rinuncia da parte dell’amministratore ad una concessione di cui era titolare la società) neppure può concretare quel danno diretto necessario perché possa esperirsi l’azione individuale di responsabilità ex art. 2395 c.c. (Cass. n. 6364 del 1998; n. 9385 del 1993; n. 327 del 1974): si veda da ultimo, in particolare, Cass. n. 8359 del 23 aprile 2007 e. Cass. 28 febbraio 1998 n. 2251, in Fallimento, 1999, 254.

L’ACCOMANDATARIO OCCULTO.

La Sentenza della Corte di Cassazione n. 13468 del 3 giugno 2010 ha affrontato la questione dell’“accomandatario occulto”.
Il Tribunale di Verona aveva dichiarato il fallimento del socio accomandante di una s.a.s., ritenendo di qualificarlo come accomandatario in virtù dell’esistenza di una continuativa attività di prestazione di garanzia alla società, accompagnata da prelievi dalle casse sociali.
La dichiarazione di fallimento era poi stata revocata in secondo grado.
La Cassazione, confermando la decisione della Corte d’Appello di Venezia ha affermato che l’ingerenza “finanziaria” dell’accomandante che presti garanzie e prelevi dalle casse sociali non può considerarsi equivalente al compimento di atti gestori in presenza del quale l’articolo 2320 c.c. consente la riqualificazione della posizione del socio.

LA CONSULTAZIONE DEI DOCUMENTI CONTABILI NELLE S.P.A. DA PARTE DEI SOCI.

Il Tribunale di Lecco ha risolto con ordinanza recente un’importante controversia riguardante l’individuazione dei limiti del diritto dei soci di società per azioni di consultare la documentazione sociale.
I soci di minoranza di una s.p.a. avevano chiesto agli amministratori la consegna di numerosi documenti contabili e amministrativi (contratti, schede clienti/fornitori, schede contabili, registri IVA vendite…), sostenendo di averne la necessità per eseguire la rivalutazione delle loro partecipazioni ai sensi dell’articolo due, comma 229, della legge finanziaria per l’anno 2010.
La società si era opposta, sostenendo che i soci delle società per azioni non hanno certo gli ampi poteri d’ispezione che la legge riconosce a quelli delle società nelle quali non esiste (quantomeno in linea generale) un organo di controllo, ossia le società di persone e le s.r.l., nelle quali sono riconosciute ai soci le ampie facoltà di controllo documentale di cui agli artt. 2261 e 2476 del codice civile.