ARBITRO O GIUDICE. CHI PREFERIRE?

Nella pianificazione legale dell’impresa una delle scelte più importanti (forse la Scelta essenziale e primaria) si riferisce all’opzione tra il ricorso alla tutela offerta dall’Autorità Giudiziaria e quella offerta dalla giustizia “privata” amministrata da un Arbitro (o da un Collegio Arbitrale).
Nel sistema giuridico italiano è, infatti, possibile affidare la soluzione delle controversie a un Arbitro, che rende una decisione, definita “lodo”, idonea a risolvere la lite, operando una scelta tendenzialmente definitiva, nel senso che non è possibile alcun ripensamento e, quindi, il ricorso alla Giustizia Ordinaria quando si sia optato per l’arbitrato.
Per effetto della stratificazione storica delle norme e delle prassi si conoscono due tipi di arbitrato.
Il primo è l’arbitrato “rituale”, che si conclude con un lodo di contenuto decisorio suscettibile di essere messo forzatamente in esecuzione, come se fosse una sentenza di Tribunale (e impugnabile in Corte d’Appello come avviene per le sentenze).
Il secondo tipo di arbitrato è, invece, quello “irrituale”, che si risolve in un accordo contrattuale steso dall’arbitro (o dal Collegio Arbitrale) per conto delle parti con intento transattivo (la differenza tra i due arbitrati è nella prassi, peraltro, spesso sfumata, dato che anche l’arbitrato irrituale può risolversi in una vera e propria decisione.


L’arbitrato non può essere utilizzato per la soluzione di questioni per le quali non è ammessa transazione; pressoché tutte le liti che interessano l’impresa possono, peraltro, essere rimesse ad arbitrato.
Il ricorso all’arbitrato può essere deciso in via preventiva (attraverso l’inserimento nei contratti con i terzi di un’apposita pattuizione, definita di solito “clausola compromissoria”).
É anche possibile il ricorso all’arbitrato dopo che una lite sia insorta, attraverso la sottoscrizione di una convenzione, definita normalmente “compromesso arbitrale”.
Prescindendo dalla distinzione tra arbitrato rituale e arbitrato irrituale (sulla quale si tornerà in un altro post) si rileva che il vero vantaggio dell’arbitrato è costituito dalla maggiore velocità del procedimento rispetto ai tempi medi di risoluzione delle liti civili, che sfiorano i cinque anni (anche se con significative differenze tra sedi giudiziarie).
Altro vantaggio è dato dalla possibilità di un maggiore ricorso a decisioni di carattere equitativo (peraltro difficilissima da impugnare) e, secondo taluni osservatori, da una qualche maggiore accuratezza della decisione arbitrale rispetto a quella giurisdizionale (non si ha, però, reale evidenza empirica in proposito).
Lo svantaggio dell’arbitrato è connesso ai costi, sensibilmente superiori. L’onere di una causa civile avanti il Tribunale è, infatti, pari alla somma delle spese di difesa e del “contributo unificato” per le spese di giustizia il cui ammontare massimo è di circa 1.500 Euro.
Nell’arbitrato le parti sono, invece, tenute a pagare il compenso dell’Arbitro (o del Collegio Arbitrale), che è proporzionale al valore della lite e che, nella prassi corrente, ammonta a cifre piuttosto significative, come risulta dai comuni tariffari delle Camere Arbitrali.
Altro svantaggio dell’arbitrato è dato dal fatto che non è possibile ottenere in tempi rapidi un ordine di pagamento assimilabile al “decreto ingiuntivo”, strumento utilissimo per aggredire in modo semplice ed economico il patrimonio di debitori riottosi al pagamento.
Altro – importantissimo – svantaggio è dato dall’impossibilità di riunire in un solo procedimento liti fra loro connesse.
Il ricorso all’arbitrato è – quindi – consigliabile solo per liti di significativo valore economico che sia opportuno definire in tempi brevi, mentre non è impossibile immaginare accordi tali da consentire il ricorso alternativo all’arbitrato o alla Giustizia Ordinaria a scelta della parte che inizi la lite, in modo tale da evitare il normale carattere esclusivo dell’opzione arbitrale.
Va, peraltro, ricordato che le regole relative ai giudizi civili sono contenute in un Codice di procedura particolarmente articolato e frutto di un’evoluzione storica secolare. Si tratta, in altre parole, di un complesso sistema di risoluzione delle controversie che è indipendente dalle scelte delle parti e che si vale di un apparato di persone (Giudici e personale amministrativo) professionalmente dedicato ad amministrare la Giustizia e soggetto a un’organizzazione gerarchica (o tendenzialmente tale).
Non è così per l’arbitrato, regolato da poche e scarne norme, rimesso in gran parte alla volontà delle parti e privo di un apparato di persone il cui orientamento possa essere conoscibile a priori.
Questo vuol dire che è impossibile (o comunque molto sconsigliabile) assumere decisioni sul ricorso all’arbitrato senza adeguata assistenza professionale.
Chi scrive ha presente il caso di una società produttrice di macchine utensili che aveva stipulato con un unico committente una ventina di contratti di fornitura relativi ad altrettante parti di un’unica linea produttiva realizzata in diverse fasi.
Questi contratti, firmati in tempi diversi, contenevano ciascuno una clausola arbitrale di contenuto differente e non ammettevano lo svolgimento di un arbitrato unico per le liti relative a contratti diversi.
La presenza delle dieci clausole impediva, però, di far ricorso alla Giustizia Ordinaria.
Ne è risultato un aggravio di costi (e anche di tempi) tale da vanificare completamente il vantaggio del ricorso ad arbitrato.
La strategia legale d’impresa era stata in questo caso difettosa: sarebbe bastato porre attenzione al contenuto delle precedenti clausole arbitrali prima di sottoscrivere un nuovo contratto per prevenire gli inconvenienti.

3 commenti su “ARBITRO O GIUDICE. CHI PREFERIRE?”

  1. Buonasera Avvocato, ho letto con interesse il Suo articolo e l’ho trovato molto approfondito. Sarebbe interessante che lei pubblicasse, se possibile, qualche modello di clausola arbitrale. Preciso che sono impiegata presso una Camera di Conciliazione dell’Italia Centrale. I miei complimenti per il suo blog! Cordiali saluti, Chiara Valloni

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    • La ringrazio, con un po’ di ritardo, delle parole di apprezzamento per il mio lavoro. In effetti l’idea dei modelli è buona. Metto allo studio qualcosa.
      DP

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