UNA RIFLESSIONE SUL DECRETO 231/01 DIECI ANNI DOPO.

La responsabilità penale-amministrativa di cui al decreto legislativo 231/2011 ( “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”) comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie o interdittive quando vengano commessi dei reati nell’ambito dell’organizzazione di: Enti forniti di personalità giuridica, società fornite di personalità giuridica e associazioni anche prive di personalità giuridica, Imprese individuali  (Cass. 15 dicembre 2010, n. 15657) e – forse – studi professionali (Cass. Pen. n. 4703 del 7 febbraio 2012 riferita a laboratorio odontotecnico in forma di società in nome collettivo).
Questa responsabilità, come è noto, è esclusa in caso di adozione da parte degli Enti di modelli organizzativi idonei a prevenire il compimento dei reati.
Il d.lgs. 231/2001 consente l’esenzione da responsabilità degli enti che:
–  si dotino e abbiano efficacemente adottato specifici modelli organizzativi e di gestione, idonei alla prevenzione di reati della medesima specie di quello commesso, di modo che il reato sia commesso aggirando fraudolentemente i predetti modelli di organizzazione e di gestione;
– si dotino di un organismo di vigilanza ad hoc, dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, che abbia effettivamente esercitato le sue funzioni e i suoi compiti durante il momento di commissione del reato.
L’adozione di un “modello 231” in alcuni casi è esplicitamente obbligatoria:
•      società quotate al segmento Star di Borsa Italiana;
•      imprese che aspirino all’accreditamento presso Enti Locali: sanità Regione Sicilia (decreti n. 1179/11 e 1180/11), formazione professionale Regione Lombardia (decreto regionale n. 588/2010), convenzionamento con Regione Calabria;
•      imprese a partecipazione pubblica per effetto di leggi regionali (es. ASL lombarde)
•      previsione articolo 30 T.U. Sicurezza Lavoro d. lgs. 81/08.
Il modello è in realtà sempre implicitamente obbligatorio in termini di ruolo e responsabilità degli amministratori.
L’adozione e l’attuazione del modello 231 (così come dei criteri di comportamento previsti dai codici volontari di categoria) costituiscono, infatti, elementi dei doveri gestionali degli amministratori e specificano il precetto generale di diligenza connessa alla natura dell’incarico degli amministratori di società di cui all’articolo 2392 cod. civ.
Gli amministratori che abbiano trascurato adozione o attuazione del modello sono civilmente responsabili verso la società, i creditori sociali e tutti i soggetti legittimati al risarcimento.
Una prima – parziale – applicazione di questo principio si trova nella recente Trib. Milano, sent. 1774 del 13.02.2008: l’amministratore delegato e presidente del C.d.A. è tenuto al risarcimento della sanzione amministrativa di cui all’art. 10 d.lgs. n. 231/2001, nell’ipotesi di condanna dell’ente a seguito di reato, qualora non abbia adottato o non abbia proposto di adottare un modello organizzativo.
Andando più oltre: anche in assenza di sanzioni l’amministratore si potrebbe considerare sempre responsabile verso la società se non ha adottato il modello 231, per avere esposto la società medesima al rischio delle sanzioni connesse alla mancata adozione del modello organizzativo.
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