LE SENTENZE DELLA CASSAZIONE DI LUGLIO E AGOSTO 2014.

giustiziaPropongo una rassegna delle decisioni della Cassazione depositate in luglio e agosto e rilevanti per le imprese e i professionisti.
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Con la sentenza 17590 del 4 agosto la Cassazione è tornata sulla distinzione fra trasferimento di azienda e cessione di singoli beni aziendali, affermando che si ha trasferimento di azienda quando l’oggetto del contratto è costituito da un complesso funzionale di beni idoneo a consentire l’inizio o la prosecuzione dell’attività imprenditoriale. La causa era riferita all’impugnazione del licenziamento del direttore di un albergo e la Corte ha stabilito che il licenziamento era illegittimo perché l’attività non era cessata con la liquidazione dei beni, ma si era avuto trasferimento di azienda con conseguente diritto al mantenimento dell’impiego ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile, nonostante un breve periodo di sospensione dell’attività.
 [button link=”#” text=”FONDO PATRIMONIALE” size=”large” type=”info” icon=”” icon_color=”” i_size=”” text_color=”” spin=””]
In luglio due sentenze “pericolose” per chi confida nello scudo protettivo rappresentato da un fondo patrimoniale.
La decisione n. 15886 del giorno 11 luglio ha affermato che in tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi, il disposto dell’art. 170 c.c., per il quale detta esecuzione non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, va inteso non in senso restrittivo, vale a dire con riferimento alla necessità di soddisfare l’indispensabile per l’esistenza della famiglia, bensì nel senso di ricomprendere in tali bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi. Sulla base di questo presupposto è stata ammessa l’esecuzione di una banca sui beni costituiti in fondo patrimoniale da uno dei coniugi per credito derivante dall’attività d’impresa di quel coniuge.
 Cass. n. 16498 del 18 luglio ha affermato che per la revocatoria del fondo patrimoniale ad integrare l’animus nocendi previsto dalla norma è sufficiente che il debitore compia l’atto dispositivo nella previsione dell’insorgenza del debito e del pregiudizio (da intendersi anche quale mero pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo) per il creditore.

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Con la sentenza n. 17250 del 29 luglio la Cassazione è tornata sul tema dell’applicabilità delle sanzioni tributarie, affermando che l’incertezza sul regime IVA applicabile ai bonus erogati dalla casa madre ai concessionari di autoveicoli giustifica la disapplicazione delle sanzioni pecuniarie riconnesse all’omesso versamento dell’imposta.
Con la sentenza n. 17021 del 25 luglio la Cassazione ha stabilito che non può essere riconosciuto il diritto alla detrazione IVA se lo scambio di servizi a titolo oneroso fra le due aziende non è regolamentato in un contratto (accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che non aveva riconosciuto il diritto alla detrazione IVA di una società per pagamenti fatti al fornitore di servizi pubblicitari).
[button link=”#” text=”LAVORO SUBORDINATO” size=”large” type=”info” icon=”” icon_color=”” i_size=”” text_color=”” spin=””]
La sentenza n. 1381 della Sezione Lavoro del 17 luglio ha affrontato il caso del dipendente di un’azienda che aveva gravemente insultato altro dipendente ed era poi stato licenziato. L’autore dell’insulto aveva impugnato il licenziamento lamentando che il motivo della sanzione non era previsto dal codice disciplinare aziendale. La Cassazione ha dato ragione alla parte datoriale, affermando che in ambito di sanzioni espulsive sussiste la necessità della previsione del codice disciplinare per le sole condotte che in relazione alla peculiarità dell’attività o dell’organizzazione dell’impresa possano integrare ipotesi di giusta causa o giustificato motivo oggettivo. Ove invece le violazioni commesse sono avvertite dalla coscienza sociale quale minimo etico, quale il fatto di inveire violentemente contro un collega di lavoro, fornire informazioni denigratorie sul suo operato e non osservare le direttive di lavoro, non è richiesta la specifica inclusione di tali violazioni nel codice disciplinare previsto dall’art. 7 legge n. 300/197
Con la sentenza n. 17177 del 29 luglio la Cassazione è intervenuta sul tema delle ferie dei lavoratori affermando che il diritto del lavoratore alle ferie annuali, tutelato dall’art. 36 Cost., è ricollegabile non solo ad una funzione di corrispettivo dell’attività lavorativa, ma altresì al soddisfacimento di esigenze psicologiche fondamentali del lavoratore, il quale, mediante le ferie, può partecipare più incisivamente alla vita famigliare e sociale e può vedersi tutelato il proprio diritto alla salute nell’interesse dello stesso datore di lavoro. Perciò la maturazione di tale diritto non può essere impedita dalla sospensione del rapporto per malattia del lavoratore e la stessa autonomia privata, nella determinazione della durata delle ferie ex art. 2109 c.c., trova un limite insuperabile nella necessità di parificare ai periodi di servizio quelli di assenza del lavoratore per malattia.
Importantissima la decisione delle Sezioni Unite n. 18353 del 27 agosto 2014 per la quale la rinuncia alla reintegrazione sul posto di lavoro (conseguente a licenziamento illegittimo) in favore del pagamento dell’indennità sostitutiva di 15 mensilità determina l’immediata risoluzione del rapporto di lavoro; pertanto l’eventuale ritardo del datore di lavoro nel pagamento dell’indennità non comporta la permanenza in vita del rapporto di lavoro e la decorrenza dell’obbligazione retributiva.
[button link=”#” text=”PROFESSIONI INTELLETTUALI” size=”large” type=”info” icon=”” icon_color=”” i_size=”” text_color=”” spin=””]
Con la sentenza n. 17085 del 28 luglio la Cassazione è intervenuta sul tema del compenso al professionista che abbia lavorato per conto di una pubblica amministrazione in assenza di contratto, affermando che non deve farsi riferimenti alle tariffe professionali nel determinare tale compenso: in tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un contratto d’opera professionale, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito se il rapporto negoziale si fosse perfezionato. Pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto al professionista, la parcella, ancorché vistata dall’ordine professionale, non può essere assunta come parametro di riferimento, non trattandosi in questo caso di corrispettivo per prestazioni professionali, ma della individuazione di una somma che va liquidata … se ed in quanto si sia verificato un vantaggio patrimoniale a favore della P.A.
[button link=”#” text=”SOCIETÀ” size=”large” type=”info” icon=”” icon_color=”” i_size=”” text_color=”” spin=””]
Il 7 agosto la Cassazione ha depositato la sentenza n. 17792 relativa al tema della società di fatto. Con tale decisione si è affermato che anche la società di fatto è un soggetto di diritto, come tale legittimato ad agire per la tutela dei propri diritti e a proporre azione per il risarcimento del danno da concorrenza sleale.
La sentenza n. 16168 del 15 luglio è inter venuta su di una controversia relativa alla validità di una clausola statutaria sulla determinazione del valore della quota in caso di recesso da s.r.l. affermando che è consentito prevedere statutariamente che la consistenza patrimoniale, alla quale fa riferimento l’art. 2437 – ter, comma 2, c.c. ai fini della liquidazione della partecipazione in caso di recesso venga valutata secondo il criterio che tiene conto dell’utilizzo dei cespiti nella prospettiva della continuità aziendale e che il criterio della continuità aziendale (cosiddetto going concern) risulta, oltretutto, il più coerente rispetto ai beni aziendali, il cui valore complessivo, sino a che continua l’attività di impresa, non si risolve nella somma del valore statico dei singoli, essendo invece inevitabilmente influenzato dalla prospettiva della continuazione dell’attività.
La sentenza n. 16963 del 24 luglio ha affrontato il tema della prescrizione del diritto derivante dalle clausole di garanzia contenute nei contratti di cessione di partecipazioni sociali (in tema di cessione delle partecipazioni sociali, le clausole con le quali il venditore assuma l’impegno di tenere indenne l’acquirente dal rischio connesso al verificarsi, successivamente alla conclusione del contratto, di perdite o di sopravvenienze passive della società hanno a oggetto obbligazioni accessorie al trasferimento del diritto oggetto del contratto, che sono volte a garantire l’esito economico dell’operazione; pertanto, non rientrando tali pattuizioni nella garanzia legale relativa alla mancanza delle qualità promesse ai sensi dell’art. 1497 c.c., trova applicazione la prescrizione ordinaria decennale e non quella di cui all’art. 1495 c.c., richiamato dall’art. 1497 c.c.)
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Agli inizi di luglio si segnala una sentenza importante sulla responsabilità del rivenditore (nel caso di specie di generi alimentari). Cass. 15824/2014 ha, infatti, affermato che l’acquirente di merce destinata al consumo alimentare umano, che sia operatore professionale del settore, ha, nei confronti del consumatore finale, un obbligo di sicurezza, che si traduce in un controllo di genuinità, sia pure a campione, del prodotto poi distribuito su scala industriale, non potendo egli fare esclusivo affidamento sull’osservanza del dovere del rivenditore di fornire cose non adulterate né contraffatte.
Nella motivazione della decisione si legge la significativa affermazione che il rivenditore avrebbe avuto l’obbligo di eseguire controlli di laboratorio sulle merci. Si tratta di un principio importante che potrebbe avere riflessi in molti campi dell’attività commerciale.
A fine luglio altra sentenza importante in materia di vendita.
Si tratta della numero 16961 del 24 luglio 2014, che ha affrontato il tema della vendita di cosa da trasportare in una controversia concernente il danneggiamento di un macchinario industriale durante il trasporto. La Cassazione ha affermato che ai sensi dell’art. 1510, comma 2, c.c., nella vendita di una cosa da trasportare da un luogo all’altro deve considerarsi quale ipotesi normale quella della vendita con spedizione, mentre è necessario un apposito patto contrario (da provarsi con elementi precisi ed univoci) perché possa ritenersi conclusa una vendita con consegna all’arrivo. Per il venditore, quindi, è sufficiente consegnare il bene al vettore per liberarsi dalla responsabilità relativa alla consegna del bene.

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