Ingerenza in una società e obblighi di comportamento. La regola dell’articolo 2497 cod. civ.

Continua la guida alle società.
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È possibile dirigere o coordinare l’attività di una società dall’esterno di essa (per esempio l’attività di una partecipata in un gruppo di società.)

Chi dirige o coordina l’attività di una società “dall’esterno” lo deve però fare:

  • senza agire nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui;
  • secondo criteri di “corretta gestione sociale e imprenditoriale”.

Chi dirige o coordina senza rispettare questi criteri deve rispondere del suo operato.

È, infatti, tenuto a:

  • risarcire i soci della società “sottoposta” per il danno arrecato “al valore e alla redditività” delle loro partecipazioni sociali;
  • risarcire i creditori della società “sottoposta” per il pregiudizio sofferto quando la cattiva gestione della “sottoposta” ne abbia pregiudicato il patrimonio.

Questa è in sintesi la regola contenuta nell’articolo 2497 del codice civile, norma introdotta nel 2003 che comincia a essere applicata con una certa frequenza nei Tribunali.

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Qualche esempio

Nel caso, piuttosto recente, del crack della nota casa di abbigliamento “Sasch” il Tribunale di Prato ha scrutinato la responsabilità della Go-Fin, società che controllava la Sasch s.p.a., alla quale era imputato:

  • di avere “indotto” la controllata Sasch ad acquistare marchi con ingente esborso e poi a trasferirli per corrispettivo inferiore alla controllante;
  • di avere “indotto” la controllata ad acquistare aziende in perdita pagando un prezzo troppo elevato;
  • di avere favorito l’eccessivo ricorso al credito della controllata.

In altro caso recente il Tribunale di Palermo ha esaminato la domanda dei soci di minoranza di una società “diretta” da altra, che imputavano alla società controllante una serie di operazioni dannose per la controllata, come la cessione in lease back di un immobile finalizzato a ottenere liquidità da trasferire alla controllata, affermando che “La responsabilità per violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale nell’attività di direzione e coordinamento di società, di carattere diretto e avente natura extracontrattuale, deriva dal mancato rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede imprenditoriali, tale da configurare un abuso nell’esercizio del potere di direttiva e di istruzione, preordinato volutamente a soddisfare interessi propri della capogruppo o di altri soggetti, interni o esterni al gruppo, in ipotesi sfavorevoli o pregiudizievoli per la società controllata”.

La responsabilità per scorretti direzione e coordinamento è un importante presidio per la tutela di chi è danneggiato dagli abusi dello strumento societario e merita di essere conosciuta e “utilizzata” nel mondo dell’impresa e del diritto.

Cosa vuol dire “direzione e coordinamento” di una società?

Si ha direzione e coordinamento quando si svolge un’intensa ingerenza nell’attività di una società, consistente in un flusso costante di istruzioni sulle scelte imprenditoriali di fondo come la politica dei finanziamenti o la conclusione dei contratti più importanti.

Per effetto della direzione e del coordinamento la società dominata perde la propria autonomia gestionale, risultando “eterodiretta”

L’etero direzione può riferirsi a una sola società o essere inserita in un ampio complesso di società, come accade nel contesto dei “gruppi di società”.

Proprio nei gruppi di società si individua la direzione e il coordinamento delle società del gruppo quando la capogruppo accentra l’alta direzione delle società del gruppo e ed elabora, per tutte queste società, i programmi finanziari e industriali.

Come si dimostrano la direzione e il coordinamento?

La direzione e il coordinamento sono presunti nei seguenti, casi previsti dall’articolo 2497 sexies del codice civile:

  • in capo al soggetto tenuto a redigere il bilancio consolidato;
  • in capo al soggetto che controlla legalmente una società ai sensi dell’articolo 2459 c.c.;

La presunzione di direzione e coordinamento fa sì che nei casi di cui sopra non sia necessario dare dimostrazione dell’ingerenza su una società (ma in questi casi è possibile dimostrare che la situazione reale è diversa da quella presunta).

In tutti gli altri casi direzione e coordinamento vanno provati.

A chi si applica la responsabilità prevista dall’articolo 2497 c.c.? Il caso delle società degli Enti Locali.

L’articolo 2497 non è applicabile allo Stato, che gode di un’esenzione, prevista dall’articolo 19 del decreto legge n. 78/2009 (convertito in legge 102/2009),

Tale esenzione è estesa da tale norma agli Enti che detengono una partecipazione societaria per fini non economici né finanziari.

Ne deriva che gli Enti Locali possono considerarsi responsabili in relazione al danno ai creditori e ai soci di minoranza delle società da essi controllate quando si tratti di società che svolgono attività di natura imprenditoriale.

Si tratta di una circostanza molto importante, perché sono molti i casi di insolvenza delle società partecipate da Enti Pubblici.

La Corte dei Conti (per esempio la delibera 3/2012 della Sezione di controllo per il Piemonte) ha in particolare chiarito che il controllo esercitato dagli Enti Locali sulle società a loro strumentali è assimilabile alla “direzione e coordinamento” prevista dall’articolo 2497 c.c.

Quale è il presupposto della responsabilità?

Il presupposto della responsabilità è che esercitando l’ingerenza il soggetto che dirige e coordina abbia:

  • agito nell’interesse proprio o altrui in contrapposizione con quello della società diretta;
  • non abbia rispettato principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale.

Questi principi, definiti dalla legge in modo piuttosto vago, coincidono con il corretto comportamento preteso normalmente per l’amministratore di una società, tenuto al rispetto della legge e ad assicurare il raggiungimento dello scopo della società e la conservazione del suo patrimonio.

Si ha violazione di tali principi, per esempio, quando si confondono i patrimoni delle società in un gruppo di società, quando si utilizzano le risorse di una società per pagare i debiti della società che la controlla o di un’altra avente il medesimo controllo o quando si impongono a una società prestazioni non remunerative.

Il rispetto di detti principi implica anche che il soggetto che dirige e coordina una società debba svolgere la propria attività direttiva assumendo decisioni in maniera prudente e dopo avere acquisito tutte le informazioni necessarie.

Come è possibile evitare la responsabilità?

Sempre per l’articolo 2497 c.c. la responsabilità può essere evitata dimostrando che l’eventuale danno derivato dalla direzione e dal coordinamento è stato compensato da vantaggi per la società “dominata” (si tratta del principio dei c.d. “vantaggi compensativi”) ovvero che sono state realizzate specifiche iniziative per limitare o eliminare il danno.

Il danno, insomma, non può essere considerato in relazione a singole operazioni imprenditoriali, ma valutando l’esito complessivo dell’attività di direzione e coordinamento.

Il soggetto “dominatore”, per esempio, potrebbe avere offerto sbocchi di mercato o garanzie bancarie altrimenti impossibili da ottenere.

L’articolo 2497 ter del codice civile, infatti, impone agli amministratori di una società eterodiretta di motivare le decisioni che siano influenzate dall’attività di direzione e coordinamento.

Questo significa che possono essere “motivate” anche delle decisioni apparentemente dannose per la società eterodiretta, ma comunque compensate dai vantaggi offerti dal controllante.

Come si quantifica il danno provocato da direzione e coordinamento “scorretti”?

Il danno ai soci di minoranza della società “dominata” si calcola considerando quale sarebbero stati la redditività e il valore della loro partecipazione sociale, se non ci fosse stata l’attività dannosa per la società.

Il calcolo del risarcimento non è, ovviamente, semplice, dato che la partecipazione in una società costituisce un oggetto di investimento per sua natura “volatile” e dato che in Italia i soci di una società (di capitali) non hanno in quanto tali diritto a percepire il dividendo di esercizio.

Si ritiene generalmente che tale calcolo vada effettuato calcolando il potenziale reddito della società eterodiretta nel caso in cui non fosse stata sottoposta ad atti dannosi e valutando il deprezzamento del valore patrimoniale intrinseco della partecipazione conseguente a tali atti (per esempio paragonando tale valore alle performance di società operanti nel medesimo settore).

Il danno ai creditori sociali è, invece, rapportato alla perdita derivante dall’impossibilità di incassare i loro crediti: ovviamente essi possono agire in base all’articolo 2497 c.c. solo per il risarcimento del danno che sia attribuibile a fatto del soggetto che ha diretto e coordinato la società loro debitrice.

Vale la pena di agire contro i soggetti che abusano del potere di direzione e di coordinamento?

L’argomento del post può sembrare molto tecnico e lontano dalla vita d’impresa di tutti i giorni.

Se però si guardano i fatti ci si rende conto che di società “eterodirette” ne esistono moltissime e che sono veramente tanti i casi in cui i soci estranei alla direzione e i creditori si vedono danneggiati dalla direzione “abusiva” di una società.

Finora lo strumento offerto dall’articolo 2497 è stato utilizzato soprattutto da soggetti “professionali” come i Curatori Fallimentari.

È venuto il momento di farne un uso più ampio, soprattutto perché la legge delega per la riforma del fallimento, appena approvata al Senato, offre finalmente ai soggetti esterni alla conduzione di una società la possibilità di reagire agli abusi gestionali, provocando l’intervento di Organismi specializzati nella risoluzione della crisi d’impresa.

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