I soci delle S.A.S. possono cedere la loro partecipazione?

Sono cedibili a terzi le       quote di s.a.s?

Come in tutte le piccole società anche nelle società in accomandita semplice il tema della cessione della quota è complesso e delicato.

I soci accomandatari non possono mai cedere la propria quota, a meno che tutti gli altri soci non siano d’accordo.

I soci accomandanti possono cedere la loro quota ma solo in certi casi e a certe condizioni.

Conoscendo le regole è possibile valutare la possibilità di liquidare il proprio investimento in una s.a.s.

La differenza tra accomandanti e accomandatari.

Per introdurre il tema del post occorre ricordare la distinzione tra accomandanti e accomandatari.

Le accomandite semplici sono società di persone in cui esistono due categorie di soci: gli accomandatari, che sono di diritto amministratori della società e che rispondono con tutto il loro patrimonio dei debiti della società; ii) gli accomandanti che non hanno poteri amministrativi e che non rispondono dei debiti della società, rischiando tutt’al più di perdere quanto hanno conferito.

Gli accomandanti perdono il beneficio della responsabilità limitata (ma non diventano accomandatari) se si ingeriscono nell’attività amministrativa.

L’articolo 2320 del codice civile (c.c.) prevede, infatti, che «i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali».

Gli accomandanti rispondono solo per il conferimento

La cessione della quota degli accomandatari

Secondo l’articolo 2322 c.c. la quota degli accomandatari non può mai essere ceduta a qualsisi titolo (e quindi neppure gratuitamente) se non con il consenso di tutti i soci. Questo perché nella logica del codice civile il trasferimento della partecipazione di un accomandatario è una modificazione talmente importante del contratto di società da richiedere l’unanime assenso dei soci.

È però possibile che il contratto di società consenta, in deroga alle regole del codice civile, la cessione libera, o sottoposta a particolari condizioni (come una clausola di prelazione), della partecipazione dell’accomandatario.

Va però ricordato che se si cede la quota dell’unico accomandatario o quelle di tutti gli accomandatari si può arrivare allo scioglimento della società, dato che per l’articolo 2323 del codice civile “quando rimangono soltanto soci accomandanti o soci accomandatari” la società si scioglie “semprechè nel termine di sei mesi” non si ricostituisca la categoria di soci venuta meno.

La cessione della quota degli accomandanti.

Sempre l’articolo 2322 c.c. si occupa della cessione della quota degli accomandanti.

Secondo tale norma questa partecipazione può essere sempre trasmessa agli eredi in caso di morte del socio accomandante (dato anche che gli eredi non rischiano di assumere la posizione di soci a responsabilità illimitata).

La cessione è possibile anche per “atto tra vivi” (vendita, permuta, donazione o altro) a condizione che vi sia il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale.

Il codice precisa peraltro che tale consenso è necessario solo perché la cessione abbia “effetto verso la società”. In mancanza del benestare della maggioranza dei soci la partecipazione dell’accomandante può essere ceduta ma, per così dire, con un “effetto limitato”: dal punto di vista della società la persona del socio non cambia.

Anche per la posizione dell’accomandante il contratto di società può, però, derogare al codice civile e quindi allargare le maglie della possibilità di cessione o, al contrario, ridurla rispetto a quanto prevede il codice civile o addirittura vietare la cessione della partecipazione.

Sequestro e pignoramento sono     di solito esclusi

Si possono espropriare o sequestrare le quote di società in accomandita?

In linea generale il complesso delle norme del codice civile vieta il sequestro e l’espropriazione di tutte le quote di società di persone per evitare che un terzo possa inserirsi nel rapporto societario che deve essere fondato su una relazione di grande fiducia e vicinanza tra i soci (rapporto che i giuristi chiamano “intuitus personae” (una nota sentenza della Cassazione ha affermato che “

Il principio non è enunciato espressamente in alcuna disposizione di legge, ma, come ha affermato la Cassazione,  “si desume con sicurezza dalla disciplina complessiva delle società personali, tradizionalmente ispirata all’esigenza che i rapporti fra i soci siano caratterizzati da un elemento fiduciario (il c.d. intuitus personae), il quale implica che, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, le partecipazione sociale può essere trasferita solo con il consenso di tutti i soci, ovvero di quelli che rappresentano la maggioranza del capitale sociale (artt. 2252, 2284, 2322 c.c.). L’espropriazione della quota, comportando l’inserimento nella compagine sociale di un nuovo soggetto, prescindendo dalla volontà degli altri soci, introdurrebbe un elemento di “novità” incompatibile con i caratteri di tale tipo di società“: v. Cass. 15605/2002)

Solo nella società semplice ai creditori è consentito chiedere la liquidazione della quota del socio quando i suoi beni non sono sufficienti a soddisfare i creditori (art. 2270).

Secondo la giurisprudenza, però, il divieto di sequestro e pignoramento delle quote di società di persone (e quindi anche di s.a.s) non è applicabile in tutti i casi in cui il contratto di società contiene regole tali da consentire al socio di cedere la sua partecipazione senza il consenso degli altri soci (si veda ancora la sentenza del 2002 citata sopra).

In questi casi, infatti, secondo la giurisprudenza la società non è caratterizzata da un “intuitus personae“, tale da escludere la possibilità della sottrazione forzata della partecipazione a un socio.

 

 

 

 

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