È possibile riscattare la partecipazione di un socio nella società?

Pochi sanno che il codice civile consente di inserire negli statuti delle s.p.a. e delle s.r.l. una clausola di “riscatto”, in base alla quale gli altri soci (o la società stessa) possono acquistare la partecipazione sociale di un socio al verificarsi delle condizioni previste nello statuto.

In presenza di una clausola di riscatto, in altre parole, il socio può essere estromesso dalla società anche contro la sua volontà, a condizione che gli sia versato un prezzo congruo per la partecipazione che deve cedere.

La clausola di riscatto può essere molto utile nei casi in cui si vuole controllare con attenzione la composizione del capitale sociale e l’identità dei soci, per evitare che facciano parte della società soggetti non graditi agli altri soci o a terzi come i clienti, i fornitori, la Pubblica Amministrazione, ecc.

Lo statuto può prevedere il riscatto

Le regole del codice civile

La norma di riferimento sul riscatto nelle società è l’articolo 2437 sexies del codice civile, contenuta nelle regole sulla società per azioni.

Questa norma stabilisce che:

  • lo statuto possa prevedere, per determinate azioni o categorie di azioni “un potere di riscatto da parte della società o dei soci”:
  • in caso di riscatto il valore da attribuire alle azioni deve essere valutato secondo i criteri applicabili per il recesso del socio (ossia, come stabilisce l’articolo 2437 ter, “tenendo conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni“), in modo da evitare fenomeni “predatori” a danno dei soci;
  • se il riscatto è esercitato dalla società si devono applicare le particolari regole (articoli 2357 e 2357bis) sull’acquisto di proprie azioni da parte della società.
Il codice civile regola il valore di riscatto.

Nelle regole sulle s.r.l. non è contenuta una norma esplicita sulla clausola statutaria di riscatto, ma per comune opinione la clausola in questione può essere inserita anche negli statuti di s.r.l., ferma l’applicazione del principio della giusta remunerazione del valore della partecipazione.

Per molti riferimenti sul punto richiamo la massima n. 153 della Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano (con ampio corredo di riferimenti alla dottrina giuridica), la quale precisa che sono legittime le clausole statutarie che attribuiscono ai soci di società a responsabilità limitata o ad alcuni di essi il diritto di riscattare in tutto o in parte le partecipazioni di altri soci, al ricorrere di determinati presupposti o durante determinati periodi di tempo, ferma restando l’applicabilità della regola della equa valorizzazione delle partecipazioni sociali.

Il caso del diritto di “put” in favore del socio

Il codice civile regola solo il caso in cui il riscatto è imposto al socio, ossia il c.d. riscatto “put” (dal verbo “prendere” in inglese).

Lo statuto può però anche attribuire ai soci o a singoli soci il diritto di ottenere l’acquisto della propria partecipazione da parte degli altri soci o della società: si parla in questo caso di riscatto “call” (dal verbo “chiamare” in inglese). Questa possibilità può, per esempio, essere attribuita al socio in presenza di determinati risultati di bilancio o nel caso del ritiro della società da determinati mercati.

In questo caso generalmente non si ritengono applicabili le regole del codice civile sul valore minimo da attribuire al socio (essendo il socio libero di vendere o meno la sua partecipazione non esiste la particolare esigenza di tutelarlo).

Con il riscatto call si può valorizzare l’investimento del socio.

Quando la clausola di riscatto può essere inserita nello statuto?

Per opinione generale la clausola di riscatto può essere inserita nello statuto anche dopo la costituzione della società, mediante una modificazione statutaria approvata dall’assemblea straordinaria.

Per evitare abusi, tuttavia, si ritiene che il potere di riscatto a danno dei soci possa essere previsto solo per il caso in cui si verifichino condizioni che non siano già esistenti al momento in cui la clausola statutaria è introdotta.

Il riscatto può essere previsto per la morte del socio o per la fine dell’impiego in società

Qualche esempio 

La clausola di riscatto può essere inserita nello statuto per situazioni tra loro molto diverse e può attribuire il potere di riscatto, in via alternativa, alla società oppure a singoli soci o gruppi di soci.

A seconda dei casi, quindi, la clausola di riscatto può prevedere che ad esercitare questo potere sia la società (nel rispetto delle regole particolari sull’acquisto di proprie azioni per le s.p.a. e di proprie quote per le s.r.l.) ovvero siano gli altri soci o specifiche categorie di altri soci.

Il riscatto, per esempio, può essere previsto per eventi che riguardano la società, come il mutamento della sua attività o della composizione del gruppo societario o come il raggiungimento (o il non raggiungimento) di determinati risultati di bilancio.

Per quanto riguarda i soci una clausola di riscatto molto frequente è quella riferita al caso della morte del socio e spesso è formulata in modo tale che al decesso di un socio i suoi eredi sono soggetti all’eventualità dell’acquisto “forzoso” della sua partecipazione da parte degli altri soci.

Altra frequente ipotesi di riscatto è quella relativa alle partecipazioni attribuite ai lavoratori  e che prevede la soggezione degli stessi al riscatto della loro quota sociale in caso di cessazione del rapporto di impiego.

La clausola può, altrimenti, essere impiegata nel caso in cui una società voglia sfruttare l’investimento finanziario di un nuovo socio, riservandosi però la possibilità di escluderlo in seguito della società. Di questa clausola si è occupata una recentissima sentenza della Cassazione (la n. 17.500 del 4 luglio 2018), per la quale con la categoria delle azioni riscattabili – contemplata espressamente dalla riforma del 2003 – è ben possibile operare al fine del reperimento di finanza per la società, in modo che al “socio temporaneo” sia attribuita la possibilità di dismettere la partecipazione ad un tempo prestabilito.

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